Uno 0-3 che ammutolisce il Bernabéu. Una frustata forte, che rimbomba nell’aria. Un colpo netto ai rivali storici in un Clasico nuovo (per data, orario e sfondo politico) ma, ancor di più, alla Liga. 9 punti di vantaggio sull’Atletico Madrid, 14 punti di vantaggio sul Real. Zero sconfitte.
Il Barcellona ieri ha dato una prova di forza, tecnica e mentale, impressionante. Ha messo a frutto tutto l’egregio lavoro svolto finora da Valverde, che ha preso una squadra apparentemente arrivata al tramontare di un ciclo (giudizio evidentemente troppo frettoloso) e l’ha risollevata facendo fronte alla partenza di uno dei suoi fenomeni (Neymar) e all’assenza del designato a sostituirlo (Dembelé). Migliorando una delle pochissime pecche del dream team: la difesa.
Il Real, invece, è risultato vittima di una serie di fattori che stanno contraddistinguendo tutta questa stagione: un po’ di sfortuna al momento di finalizzare, una rosa un po’ più corta, un Ronaldo meno alieno del consueto (per la verità, solo in campionato) e il calo generale di alcuni singoli. Tutto questo perché? Perché dopo 8 trofei conquistati in un anno e mezzo, tirare il freno è una naturale conseguenza.
LA DIFESA BLAUGRANA
Partiamo da una statistica: allo stesso punto della stagione, lo scorso anno, il numero di gol subiti dal Barcellona in Liga ammontava a 17. Numero di clean sheets? Cinque. Sconfitte subite? Due.
Ad oggi, in Liga il Barcellona ha subito 7 reti (miglior difesa del campionato), ha mantenuto la porta inviolata ben 10 volte (esattamente il doppio rispetto allo scorso anno) ed è, insieme al Manchester City, l’unica squadra dei top 5 campionati europei ad essere ancora imbattuta (non solo in campionato, ma anche nelle coppe).

A cosa si deve questo miglioramento? A un miglioramento del reparto nel suo complesso: più concentrato nell’arco dei 90 minuti, più ordinato, più compatto. E un miglioramento, allo stesso tempo, dei singoli. Palesatisi soprattutto ieri in due elementi in particolare. In primis, Thomas Vermaelen. Rimasto a Barcellona dopo i tanti problemi fisici che hanno portato la Roma a non riscattarlo in estate, e che gli hanno al tempo stesso impedito di trovare soluzioni al di fuori della Catalogna, il belga si è pian piano rimesso in sesto. Complici il recente infortunio di Umtiti e un Mascherano ormai fuori dal progetto, Vermaelen si è ritrovato partner di Piqué in 5 partite consecutive di Liga, Clasico compreso. Ieri si è dimostrato quasi impeccabile nell’arginare prima Benzema e poi Bale, giocando peraltro 72 minuti con il peso di un’ammonizione registrata al minuto 18.
Sempre più protagonista anche Sergi Roberto, che tanti dubbi ha sollevato quando Luis Enrique lo propose da terzino destro, ma che tante prestazioni convincenti sta sfornando in questa stagione, anche nella posizione di laterale basso. Ordinato, attento, puntuale, in sintonia con un intero reparto. Ieri estremamente preciso in fase difensiva, durante la quale dalle sue parti passava gente come Ronaldo e Marcelo, quanto propositivo in fase offensiva: il suo assist col contagiri per Suarez ha aperto la strada per il trionfo finale del Barcellona.
Va fatta una menzione anche per Aleix Vidal, che al di là del gol di ieri ha finalmente trovato la sua dimensione in questo nuovo Barcellona: 14 presenze in questa prima metà di stagione, già due in più rispetto all’intera annata scorsa. Arrivato nell’estate del 2015, ha cominciato a giocare per i blaugrana a partire da gennaio 2016 complice il blocco del mercato. Mai convincente con Luis Enrique in una stagione e mezzo, con Valverde sono bastati tre mesi per ritagliarsi un suo ruolo, seppur di secondo piano. La sua capacità di giocare lungo tutta la fascia, dalla difesa all’attacco, è un’arma in più di notevole comodità.

Impossibile poi non sottolineare la crescita di Ter Stegen, portiere già determinante negli scorsi anni ma troppo spesso preda di cali di concentrazione imperdonabili. Quest’anno il portiere tedesco ha diminuito notevolmente gli errori. 50 salvataggi su 58 tiri nello specchio fronteggiati, un rapporto tiri subiti/tiri parati che solo Oblak, in tutto il campionato spagnolo, può vantare. E le già menzionate 11 porte inviolate. Forse è solo il frutto di una stagione particolare, ma l’impressione è che l’ex Gladbach abbia finalmente fatto il salto di qualità.
L’INSOSPETTABILE

Il mondo dei calcioli si è diviso nel momento in cui José Paulo Bezerra Maciel Júnior, a tutti noto come Paulinho, approdava a Barcellona per 40 milioni di euro. Chi storceva il naso (in primis i tifosi del Barça), perché vedeva vestire il blaugrana un giocatore lontano ormai due anni dal calcio che conta, peraltro non più nel pieno della carriera, dati i suoi 29 anni che certo non contribuiscono a ringiovanire il reparto. Chi si faceva una bella ghigna (più o meno tutto il resto del mondo), per la cifra spesa per comprare quella che, sulla carta, era solo un’alternativa (partendo dal presupposto che il Barcellona avrebbe giocato con un centrocampo a tre, come da tradizione). E poi una piccola fetta di neutrali/fiduciosi, perché riconoscevano a Paulinho il suo valore: quello di un centrocampista colonna della nazionale brasiliana, dominante nel suo girone di qualificazione ai Mondiali, con la “sfortuna” di non aver brillato nella sua primissima esperienza europea in Inghilterra.
Uno dopo l’altro, il carioca ha fatto ricredere tutti. Complice anche l’assenza di Dembelé, che ha ridotto le soluzioni offensive a disposizione di Valverde, il Barcellona da mesi gioca stabilmente con un centrocampista in più. Una sorta di 4-4-2 (o 4-3-1-2), per chi ama i numeri. In questo nuovo scacchiere, Paulinho si sta rivelando una pedina fondamentale. Sia in fase offensiva, dove i suoi inserimenti danno al gioco blaugrana una consistente novità rispetto al passato, per caratteristiche tecniche e fiuto del gol (sono già 6 le reti realizzate in campionato); sia in fase difensiva, dato che permette alla difesa di essere protetta da un elemento in più. Ieri ha sfiorato il gol in due occasioni e si è reso utile in fase di non possesso, tappando buchi ove possibile. Il centrocampo del Barcellona ha trovato un’insospettabile protagonista.
E POI CI SONO LORO

E poi ci sono loro, Messi e Suarez. Potremmo ribattezzarla come MS, dato che senza Neymar il risultato non sembra cambiare. E anzi, i due sembrano trovarsi sul campo ancora meglio: 39 dei 45 gol segnati dal Barça in Liga provengono dai loro piedi. Si cercano l’un l’altro in maniera ostinata, al costo, talvolta, di gettare al vento un’azione intera al momento di metterla dentro. L’assenza di O’Ney ha tolto indubbiamente un elemento di straordinaria qualità, ma ha anche, forse, tolto una piccola spina nel fianco nel modo di giocare del Barcellona. Un gioco meno spettacolare (a tratti, d’intende), ma più concreto, lineare, quasi essenziale. Certo, realizzato con un quantitativo di qualità unico. E lo stesso vale per la pulga e il pistolero: un Messi forse meno devastante, meno presente nell’arco dei 90 minuti, ma che sa incidere sulle partite anche se in maniera diversa rispetto al passato; allo stesso modo Suarez, meno cannibale in area di rigore (e non stiamo parlando di morsi) ma sempre e comunque pronto per metterla dentro. Ne è un esempio il contropiede che ha portato ieri al gol dell’1-0: sgroppata di Iniesta, tocco per Sergi Roberto, tracciante di prima per Suarez e il gioco è fatto. Contropiede da manuale in tre tocchi, e senza che Messi vi abbia messo piede.
Solido, concreto, vincente. Un Barcellona come forse non lo abbiamo mai visto.