ESCLUSIVE
ESCLUSIVA – Roberto Civitarese spiega l’importanza del mental coach nel mondo del calcio

Pubblicato
2 mesi fa:

La figura del mental coach sta assumendo un’importanza sempre maggiore nel mondo del calcio. La redazione di Numero Diez ha avuto il piacere di approfondire la questione con Roberto Civitarese, esperto Mental Coach dei Calciatori Professionisti. Con oltre 15 anni di esperienza nel settore, ha sviluppato la specializzazione sull’allenamento mentale dei calciatori.
Nell’intervista ha analizzato la progressiva rilevanza di tale settore nel mondo del calcio, spiegando le tecniche da lui utilizzate per migliorare l’aspetto psicologico e mentale dei vari calciatori. Inoltre, ha raccontato anche di altri suoi progetti. Dal libro ‘Gioco di testa‘, scritto nel 2011 e ripubblicato 10 anni dopo, con la collaborazione di Lorenzo De Silvestri, difensore del Bologna, al progetto della Nexeld Academy.
L’INTERVISTA
Negli ultimi anni il legame tra psicologia e calcio sembra essere stato sdoganato rispetto al passato. Al giorno d’oggi quanto è importante la figura del mental coach nel mondo del calcio?
“Ritengo che sia fondamentale. Molti calciatori, soprattutto di prima fascia, ritengono che dall’aspetto mentale dipenda l’80% della loro performance. I calciatori non possono allenare questo aspetto in maniera autonoma. Hanno necessità di un professionista qualificato, con delle competenze. Tuttavia, ritengo che il mondo del calcio si sia accorto solamente in parte di questa realtà. Non c’è stata ancora una piena presa di coscienza. Questo aspetto va trattato in maniera professionale, non da autodidatta.
Molti allenatori dicono quanto sia importante entrare nella testa dei calciatori, ma mai nessuno comprende dove reperire gli strumenti per fare questo. Credo che questa sia la situazione attuale”.
Quali sono le principali tecniche o strumenti utilizzati da un mental coach per curare l’aspetto psicologico di un calciatore?
“Vengono utilizzate tecniche legate allo sviluppo personale, come la programmazione neuro-linguistica. Alcune tecniche hanno una base neuroscientifica. Ci sono moltissime tecniche, come la respirazione e lo yoga. Poi ognuno si specializza sulle tecniche che predilige, che ritiene più idonee.
Ci sono varie tecniche, sviluppate anche in altri ambiti, che permettono all’individuo di poter fare un percorso in prospettiva. Permettono di guardarsi dentro e fare un’analisi delle proprie potenzialità. Con questi strumenti è possibile tirar fuori anche quelle risorse a volte inespresse”.
Tra le difficoltà più comuni di un calciatore, sicuramente c’è la gestione della pressione, soprattutto nei più giovani. Come si lavora su questo aspetto?
“Credo che non esistano formule particolari per ottenere determinati risultati. Lo chiamo percorso di trasformazione. Non è quello che facciamo che fa la differenza, ma è quello che decidiamo di essere. Tutto è incentrato molto sulla identità della persona. È un processo di trasformazione, quindi io devo cambiare il mio modo di approcciarmi alle cose. Bisogna guardare le situazioni da punti di vista differenti rispetto a quelli a cui il mondo del calcio è abituato.
Faccio un esempio. Quando analizziamo il passaggio dal settore giovanile alla prima squadra, vengono create aspettative grandissime che comportano la pressione. Quando un calciatore ha un’aspettativa molto alta, se non è preparato subentra la paura di perdere, la paura di sbagliare e di fallire. Con un determinato pensiero negativo, aumentano le possibilità di sbagliare. Per questo motivo, il primo step è disinnescare quella carica emotiva ed emozionale. Quando parlo del debutto in prima squadra, ricordo sempre che è semplicemente una partita, quindi poco in confronto ad un’intera carriera. Bisogna analizzare le situazioni da una prospettiva differente. In questo caso aiuto il calciatore a focalizzarsi sulla carriera, non sulla partita. Quella singola partita è semplicemente un tassello dell’intera carriera. Per alleggerire la pressione, bisogna contestualizzare quella partita all’interno di un mondo più grande”.
Quando un calciatore subisce un grave infortunio, oltre al classico lavoro per il recupero fisico, esiste un percorso riabilitativo anche per l’aspetto psicologico?
“In questo caso spesso utilizzo la proiezione di un futuro che ancora non esiste, la cosiddetta visualizzazione. L’infortunio è un ostacolo. Il tema su cui focalizzarsi è il rientro. In questi casi chiedo ‘che tipo di calciatore vuoi portare in campo al tuo rientro’. Aiuto il calciatore a crearsi quell’immagine. Attraverso il lavoro di riabilitazione, deve costruire quel calciatore che lui vuole portare in campo alla ripresa. Bisogna concentrarsi sul futuro, ed ognuno è il singolo artefice del proprio. Molti calciatori sono rimasti focalizzati su ciò che hanno perso, piuttosto che sul futuro”.
Lei ha scritto il libro ‘Gioco di testa’ in collaborazione con Lorenzo De Silvestri. Ci racconti il progetto.
“Incontrai Lorenzo De Silvestri nel febbraio 2012. Il libro era uscito nell’aprile 2011. Il libro è formato da nove capitoli, in cui vengono analizzate quelle tecniche che io utilizzo quotidianamente nel mio lavoro. Un capitolo era legato all’esperienza sul campo. All’epoca avevo lavorato per tre anni, ed avevo raggiunto risultati importanti con vari calciatori, ad esempio con Fabio Borini, che a 19 anni aveva già giocato in Champions League.
Consegnai a Lorenzo quel libro. Per lui fu una sorta di breviario, l’ha sempre portato con sé. Ha sempre ritenuto quello uno strumento molto utile per un calciatore. Ha avuto una carriera molto importante. Dopo 10 anni di collaborazione, avevo il desiderio di rinnovare il libro. Lui mi disse che i giovani oggi ne hanno bisogno. Allora ho riproposto le tecniche, che lui ha utilizzato per 10 anni, e abbiamo aggiunto un capitolo in più nel quale lui ha raccontato questi 10 anni di lavoro con le mie tecniche. Ha spiegato quanto gli sia servita la figura del mental coach nella sua esperienza, aggiungendo le sue considerazioni. Questo capitolo si chiama ‘Dieci anni dopo’. Abbiamo deciso di riproporre questo libro per i ragazzi più giovani, con questa chiosa finale”.
Lei è uno dei fondatori di Nexeld Academy, la prima accademia di allenamento mentale per calciatori. Quali sono gli obiettivi del progetto?
“È un progetto che sta nascendo. A breve sarà operativo. È un progetto innovativo che nasce dal presupposto che il lavoro del mental coach sia un lavoro one to one con il calcatore. Per svolgere questo lavoro in maniera adeguata, ogni mental coach può lavorare al massimo con una decina di calciatori all’anno. È impensabile lavorare con troppi calciatori. Si tratta di un servizio di nicchia, che non può essere erogato a tutti.
Con il passare del tempo, questo lavoro è diventato di fondamentale importanza. Io ed un mio collaboratore abbiamo pensato di creare una modalità che potesse essere fruibile a tutti. Abbiamo creato un Academy che ha delle modalità di erogazione simili a quella di un’università online. Ci sono varie attività on-demand, con alcuni video miei sulle tematiche più frequenti, dagli allenamenti alla partita perfetta. Ci sono quegli argomenti che, in 15 anni di esperienza, i calciatori mi hanno maggiormente evidenziato. Questi video sono accompagnati da un percorso di coaching, guidati da un coach preparato da me, cha avrà la funzione di tutor. Alla fine, arriva la modalità one to one. A quel punto sarà rivolto a calciatori di prima fascia. Questa è l’idea.
Lasceremo un attestato di competenza sull’allenamento mentale. Ci sarà un evento, una volta all’anno, dove riuniremo i ragazzi dell’Academy, dove premieremo quelli che hanno raggiunto gli obiettivi prefissati. Ciò vorrà dire che quel percorso ha prodotto il risultato.
Una volta Sarri disse che l’80% dei mental coach sono fasulli, per denunciare una carenza di professionalità. Oggi chiunque può dichiararsi mental coach, anche senza competenza o esperienza. Questa professione libera penalizza la qualità. Ci sono calciatori che preferiscono rivolgersi a queste persone meno qualificate anche per ragioni economiche. Purtroppo esiste questa dinamica.
Il progetto nasce dalla volontà di dare la possibilità a tutti di allenare l’aspetto mentale in modo serio, professionale, con costi accessibili anche ai calciatori del settore giovanile. Con questo progetto, voglio far capire al mondo del calcio che questa è una professione seria. Io sono disponibile ad arrivare a chiunque, con modalità differenti. L’obiettivo è che l’Academy sia pronta in maniera perfetta per l’inizio della nuova stagione.
Quando incontro un calciatore, la prima cosa che gli dico è di leggere il mio libro per comprendere determinati concetti. Alla base di tutto c’è la volontà”.
In uno dei suoi ultimi video pubblicati sul suo profilo Instagram, lei ha riportato la situazione riguardante la mancanza di talenti italiani denunciata dal CT Mancini. Ha poi chiesto qual è il modo più adeguato per coltivare il talento dei ragazzi. Le pongo la stessa domanda.
“Determinate valutazioni dimostrano quanta poca conoscenza ci sia della materia umana. Con tutto il rispetto per gli addetti ai lavori, che prendono in considerazione solamente i piedi di un calciatore. Ma il calciatore non è formato solamente dai piedi. Nel reel ho chiesto ‘ma siamo sicuri che il problema sia che la gente non gioca più per strada?’. A Novara c’è un centro sportivo che è tra i migliori in Europa. Si impara di più giocando in un centro sportivo oppure in strada? Bisogna comprendere che la formazione di un calciatore non è solamente tecnica.
Il tema vero è l’incapacità di formare il talento, non la mancanza di talento. Se così non fosse, il mio lavoro non esisterebbe. Da me arrivano calciatori che non riescono a fare determinate cose, vuol dire che qualcuno non gliele ha insegnate. Inoltre, non credo che la soluzione sia pescare tra gli oriundi. Il problema è che non si vuole guardare in faccia la realtà e non ci si vuole assumere le responsabilità. La responsabilità è di chi governa il calcio. Il lavoro è misurato dai risultati. Se oggi si dichiara che in Italia non ci sono talenti, vuol dire che chi governa il calcio deve ammettere che ha fallito.
È sbagliato cercare di far credere cose che non esistono. Io credo che il talento esiste, occorre essere capaci di coltivarlo. Dichiarare in maniera generica che in Italia non esite il talento è folle. Piuttosto, bisognerebbe fare un discorso sui settori giovanili. Nella maggior parte delle squadre di Primavera 1, ci sono prevalentemente stranieri. Ad ogni modo, ritengo che non ci siano strutture che prendano in considerazione in maniera adeguata lo sviluppo dell’individuo. Il principale problema nostro è formativo. Bisognerebbe partire dalla formazione dei formatori”.
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ESCLUSIVE
ESCLUSIVA – Manfredi: “Scudetto? Spot per l’intera città di Napoli”

Pubblicato
2 giorni fa:
Giugno 5, 2023
Riscatto e rinascita: lo scudetto conquistato dal Napoli ha portato lustro non solo alla formazione azzurra, ma anche all’intera città, che ha atteso questo momento di grande gioia per 33 anni. “Uno spot internazionale per la città”: intervenuto in esclusiva ai microfoni di Numero Diez, il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi ha così definito il momento di grande festa che ha coinvolto l’intero popolo partenopeo.
L’INTERVISTA
Come descriverebbe l’importanza della vittoria del terzo scudetto del Napoli per la città e i suoi cittadini?
“È stato sicuramente un evento storico, che ha contraddistinto anche un momento molto positivo per la città. Un momento di grande rinascita e di successo, anche a livello internazionale. Quindi, è stato un momento di grande festa, ma anche di riconoscimento e di protagonismo a livello nazionale ed internazionale”.
Come ha risposto il popolo napoletano, in termini di ordine pubblico, nel corso dei festeggiamenti per il terzo scudetto?
“Il popolo partenopeo ha risposto in maniera straordinaria. Non abbiamo avuto nessun problema, malgrado centinaia di migliaia di persone per strada. C’è stata sempre grandissima gioia, ma anche tanta civiltà. Decine di migliaia di persone sono giunte da fuori Napoli, ma anche dall’estero: tutti sono stati accolti con grande passione e compostezza”.
Grazie ai napoletani e a tutti i cittadini dell’area metropolitana di #Napoli.
Grazie a chi vive qui e a chi è venuto da lontano.
Per la passione. Per la gioia. Per la civiltà. pic.twitter.com/XDWN3KnPVX— Gaetano Manfredi (@GaeManfredi) June 5, 2023
L’entusiasmo intorno alla squadra può contribuire a migliorare ulteriormente l’immagine e l’economia della città di Napoli?
“Questo sicuramente. È stato un grande spot per l’intera città di Napoli. Le immagini della festa sono state trasmesse su tutte le grandi televisioni internazionali, su tutti i grandi media. Questo sicuramente aumenterà ulteriormente la reputazione della città e il suo brand a livello internazionale”.
Come pensa che la vittoria dello scudetto possa influire sull’immagine internazionale della città Napoli?
“La vittoria dello scudetto influirà, senza alcun dubbio, sull’immagine della città. Oggi parlare di Napoli nel mondo, significa parlare di una delle città più note ma anche più ambite del momento. I grandi flussi turistici lo dimostrano: tutti vogliono venire a Napoli, quindi la vittoria dello scudetto è stata l’occasione per testimoniare anche questo”.
Calcio e dintorni
ESCLUSIVA – Errico Porzio: “Il segreto del successo? Dare spazio all’estro, ma con dedizione”

Pubblicato
5 giorni fa:
Giugno 1, 2023Di
Simone Rippa
ESCLUSIVA ERRICO PORZIO – Il tema dell’alimentazione ha spesso generato molti dubbi e polemiche nel suo rapporto con il mondo dello sport, creando molte discussioni su diete sane e bilanciate per mantenere la miglior condizione possibile. Tuttavia, spesso ci si interroga su quale sia la relazione ideale tra cibo ed attività fisica, ma in pochi riescono a fornire una soluzione ben determinata.
La redazione di Numero Diez ha avuto il piacere di affrontare questo argomento con Errico Porzio, grande esperto della sfera alimentare. Porzio è un pizzaiolo campano molto celebre sui social network, sui quali conta complessivamente 1.5 milioni di follower. Oltre ad essere un pizzaiolo molto celebre, è un grande tifoso del Napoli e, ai nostri microfoni, ha espresso le sue sensazioni ed emozioni in merito a questa stagione molto positiva per i partenopei.
L’INTERVISTA AD ERRICO PORZIO
L’alimentazione, per un atleta, è uno step cruciale per avere successo nell’attività fisica. In qualità di figura esperta nel campo alimentare, cosa pensa di tutte quelle leggende e tabù su diete rigorose e sull’imposizione di limiti per il consumo di prodotti come la pizza?
“Oltre che un pizzaiolo io sono stato e sono tuttora uno sportivo. La cosa importante è affidarsi a persone che capiscono davvero di equilibrio alimentare, e non ad improvvisati o appassionati. Io, ad esempio, quando vado in palestra potrei sempre mangiare una pizza. Per chi non fa attività fisica, non si può abusare di carboidrati in generale e bisogna sapersi controllare. Condanno assolutamente chi elimina la pizza dalle diete, e te lo dico da persona che andando in palestra può mangiarla anche 3 volte a settimana”.
I suoi locali hanno mai ospitato dei giocatori? Se sì, c’è qualche aneddoto che vorrebbe raccontarci?
“L’ultimo aneddoto molto curioso riguarda Alessandro Zanoli. È stato mio ospite nel locale sul lungomare di Napoli e mi ha chiesto lui la foto. È stato un episodio molto simpatico, sembrava quasi mi volesse prendere in giro, ma mi ha fatto enormemente piacere. Però in realtà lui già mi conosceva e si era ricordato che ero stato a Castel Volturno qualche giorno prima per seguire gli allenamenti del Napoli. Inoltre abbiamo avuto clienti in passato come Ancelotti, che ordinava da casa, Pepe Reina, Gabbiadini, Callejon, che abitava a poche centinaia di metri dalla pizzeria”.
In una sua recente intervista lei ha dichiarato: “Nelle pizze, vale come per il calcio: conta l’estro. Ogni calciatore ha un ruolo diverso, e, allo stesso modo, esistono diversi tipi di pizzaiolo con varie qualità”. Alla luce di questa dichiarazione, quanto è importante, secondo lei, esaltare le capacità individuali di un professionista e farle coesistere con il lavoro di squadra?
“È davvero importante. Io feci il paragone con una squadra di calcio, in cui trionfa il gioco di squadra, però è anche normale che al suo interno si esaltino le singole qualità. In questa stagione, per esempio, il Napoli ha avuto Osimhen come finalizzatore, Kvaratskhelia che faceva la differenza, Lobotka e Anguissa che a centrocampo sono stati maestosi. Quindi, oltre al gioco di squadra bisogna dare sempre spazio all’estro e alla personalità. Anche nel caso del pizzaiolo, saper ascoltare ed individuare chi all’interno di un gruppo può fare la differenza e affidargli determinate responsabilità, altrimenti saremmo tutti uguali. Invece, c’è il personaggio più conosciuto, il più veloce, quello bravo a fare la pizza, quello veloce a fare gli impasti…
La cosa perfetta sarebbe trovare colui che, a prescindere da tutto, si intravede abbia qualità importanti, per dargli sicuramente più spazio e permetterti di fare la differenza all’interno di un locale. Ovviamente questo discorso vale per ogni lavoro di squadra, è una caratteristica generale della vita. Io uso sempre l’espressione “s’adda sape’ fa'” per esprimere questo concetto ed è riferito a qualsiasi elemento della vita. Se c’è qualcuno che ha estro e si applica con spirito di sacrificio, dedizione e passione, allora sicuramente può aiutare. Quindi, oltre alla bravura serve anche molta dedizione per fare bene”.
Nelle ultime settimane lei ha girato per tutta Italia a causa di eventi importanti a cui ha partecipato, come a Milano. Che atmosfera si respirava in città in attesa della finale di Champions League che affronterà l’Inter?
“Io sono stato a Milano il giorno del ritorno dell’euroderby. Già in quel momento c’era un umore ottimista da parte dei tifosi dell’Inter, meno da parte dei tifosi del Milan, che si erano già rassegnati dopo lo 0-2 dell’andata. Da parte interista, ovviamente, c’è grande entusiasmo e soprattutto consapevolezza che dall’altro lato c’è una squadra che ha battuto l’altra probabile finalista, che era il Real Madrid. Il caso ha voluto che si sono scontrate in una semifinale, ma in realtà si pensava che una vera finale fosse stata proprio quella. E non c’è stata partita”.
La finale è una partita secca e fa storia a sé. Un episodio può indirizzarla verso una o l’altra strada, ma tutti siamo consapevoli che dall’altro lato c’è il Manchester City, una squadra di un livello superiore. Se dovessimo parlare di percentuali, personalmente direi 70% Manchester City e 30% Inter. Il calcio, come dicevamo prima, è un gioco di squadra, però effettivamente i Citiziens, oltre che la squadra, hanno 15/16 fenomeni“.
Lei è un grande tifoso del Napoli, come attestato dalla produzione di giacche personalizzate per lei e il suo staff, oltre alla pizza inedita per celebrare la vittoria del campionato di Serie A. Ci racconta come ha vissuto i festeggiamenti e i momenti più belli della stagione?
“Sembrerà strano, ma uno dei momenti più belli della stagione è stato Napoli-Liverpool del girone di UCL. Fino a quel momento il Napoli macinava vittorie e bel gioco, ma fino a quel momento non aveva mai avuto un rivale di alto livello. Dopo quella partita, mi sono auto-convinto che il Napoli avrebbe vinto lo scudetto. Registrai un video con un membro del mio staff tifoso del Milan in cui dicevo che il Napoli avrebbe vinto il campionato con un mese o due mesi di anticipo e sarebbero arrivato tra le prime 4 di Champions. Mi sono sbagliato solo in quest’ultimo caso, ma ci siamo andati molto vicini, anche a causa della sfortuna nelle due partite contro il Milan. Comunque, Napoli-Liverpool mi diede la consapevolezza che il Napoli quest’anno sarebbe stato inarrivabile.
Il titolo non è mai stato in discussione ed era solo questione di tempo. Abbiamo vinto con 5 giornate d’anticipo, ma già 6 giornate prima era tutto fatto, anche in caso di eventuale spareggio contro la Lazio, se le avesse vinte tutte. La vittoria molto anticipata ha fatto sì che i festeggiamenti ci fossero tutte le settimane, già dopo Juventus-Napoli 0-1, ben 7 giornate prima della fine del campionato, e si impazziva. Io ero all’aeroporto tra i 10/15mila tifosi ad accogliere la squadra rientrante e c’era aria di festa, si gridava, si cantava. Ho vissuto tutti i 3 scudetti del Napoli: il primo non si scorda mai, ma l’ultimo appena conquistato ha avuto una durata così lunga che ci siamo quasi stancati di festeggiarlo.
Il presidente De Laurentiis è molto bravo ad organizzare feste e celebrare le vittorie e in ogni vicolo e quartiere di Napoli si respirava l’aria di gioia che si aspettava da 33 anni. In particolare, Udinese-Napoli rimarrà nella storia. I miei figli e i miei fratelli mi hanno portato un pezzo di prato dallo stadio di Udine e questo è un ricordo storico”.
Per rimanere in tema Napoli e festeggiamenti, come festeggerà domenica 4 giugno la premiazione ufficiale degli azzurri?
“Non so se andrò allo stadio. Io preferisco stare per strada tra la gente, cantare e divertirsi piuttosto che trattenersi dopo la partita. Ripeto, stiamo festeggiando da due mesi e, arrivati ad un certo punto, si preferisce festeggiarlo in modo diverso. Le partite del Napoli ormai sono un obbligo di proseguire il campionato, ma danno al mister la possibilità di provare nuovi giocatori. Effettivamente ogni partita del Napoli, sia in casa che fuori, è una festa. Questo mi rende molto orgoglioso da tifoso e tutto ciò ha dato nuova linfa non solo alla Campania, ma a tutto il Sud Italia.
Girando spesso per il Paese da Nord a Sud, devo essere sincero, ogni tifoso si è dimostrato felice della vittoria del Napoli. Vincere a Napoli non è come farlo in altre città: solo chi ci vive sa cosa significa. Siamo molto felici di questa vittoria, soprattutto perché arrivata in modo schiacciante. A volte l’organizzazione conta più del potere“.
Cosa pensa dell’addio di Spalletti e chi le piacerebbe come allenatore per la prossima stagione?
“Spalletti ha dato delle motivazioni più che valide. Non ha detto di lasciare Napoli per allenare un’altra squadra, anche perché dopo uno scudetto e tutto quel che ha vissuto in due anni, sarebbe stato molto difficile da digerire, soprattutto se avesse trovato squadra in Italia. Lui va via per restare con la famiglia e godersela, per stare più sereno. Effettivamente vincere a Napoli ed esserne l’allenatore comporta molte responsabilità. In strada si è osannati se si va bene, ma si può essere disprezzati molto se si va male. Quest’anno l’atmosfera di grossa responsabilità si è sentita sin da subito, per fortuna dei tifosi, ma sfortunatamente per lui. Essere tra i favoriti comporta di non poter sbagliare e, secondo me, è davvero molto stressante ed intenso, soprattutto per lui che non si sposta mai da Castel Volturno.
Come prossimo allenatore del Napoli ho un altro “sogno nel cuore”. Ci sono 3 allenatori che apprezzo in ordine crescente. Al terzo posto Thiago Motta, che mi piace tanto e sta facendo cose importanti a Bologna, dimostrando di poter essere un buon allenatore. Poi, al secondo posto metterei De Zerbi, ma ha una clausola molto alta e difficilmente può avverarsi. Al primo posto, nonostante tutti facciano i nomi di Italiano, Benitez, Conceiçao, io considero Jurgen Klopp l’allenatore ideale per una piazza come Napoli. Sembrerebbe che a fine anno possa divorziare con il Liverpool e lo vedrei veramente molto bene a Napoli”.
Fonte immagine di copertina: profilo instagram di Errico Porzio
ESCLUSIVE
ESCLUSIVA – Luca Marelli si racconta: la sua carriera e il mestiere di arbitro

Pubblicato
7 giorni fa:
Maggio 31, 2023
Luca Marelli ogni settimana entra nei salotti di tutti gli italiani, spiegando gli episodi arbitrali su DAZN. La sua carriera non è iniziata in televisione ma sul terreno di gioco, dove è stato un arbitro che ha diretto partite di tutte le categorie del calcio italiano. L’abbiamo intervistato per il nostro format “Behind the Mask“: ci ha raccontato la sua storia, la sua carriera e qualche aneddoto del mestiere di arbitro.
Come ti sei avvicinato al mondo arbitrale?
“Mio zio era un arbitro da ormai trent’anni nel CSI. Una domenica era venuto a trovare mia mamma, io ero sul divano e mi ha detto: ‘Perché invece di stare qui a fare nulla non vieni con me a provare ad arbitrare?’. Il giorno dopo mi sono iscritto al corso arbitri, poi ho cominciato in una partita di allievi nel calcio a 7. Ho iniziato un po’ per gioco, per evitare di annoiarmi, poi è arrivata la passione: fino a 22 anni sono stato al CSI, sono passato all’AIA abbastanza tardi, con un ritardo di 5 anni rispetto agli altri”.
Da arbitro sei stato testimone di tutte le categorie calcistiche in Italia, cosa cambia maggiormente quando si sale di livello?
“Cambia la qualità dei giocatori, la velocità del gioco, serve una capacità di decidere molto più veloce. Il grande salto c’è tra Serie C e Serie B e poi la Serie A è un altro mondo, da tutti i punti di vista. Io ho smesso 13 anni fa, il mondo del calcio oggi non lo conosco da dentro, ma vedendo la differenza tra Serie A e B oggi mi sembra che si sia ulteriormente amplificata”.
Nel calcio di categorie inferiori hai trovato delle differenze qualitative a livello territoriale? Arbitrare una partita di eccellenza a Milano, è diverso rispetto a Roma o a Palermo?
“Assolutamente sì, il campionato di eccellenza in Lombardia è quello più vicino alla Serie D. Al sud è più complesso, soprattutto a livello ambientale. Anche se promozione ed eccellenza, in realtà, non le ho vissute molto al sud. Ho visto il centro, nella zona di Roma, lì la qualità era leggermente più bassa rispetto alla Lombardia, non me ne vogliano le squadre del Lazio”.
Esordio in Serie A, Lazio-Siena nel 2005, puoi raccontarci le tue emozioni durante quel giorno?
“Questa partita è finita senza ammoniti, espulsi o rigori, nulla in particolare. Ricordo ancora le votazioni il giorno dopo sui giornali, è stata una bella soddisfazione. Il coronamento di una vita arbitrale, ho iniziato a 19 anni, poi ho fatto 11 anni in giro per l’Italia per l’AIA e questa partita arrivò dopo 7 gare di Serie B. Un bellissimo ricordo, ma non è la partita più importante della mia carriera. Non posso descrivere l’esperienza perché andrebbe vissuta, c’erano in campo anche giocatori come Di Canio e Chiesa, era un’altra generazione di calciatori”.
Ci hai accennato della partita più importante della tua carriera, puoi dirci qual è stata e raccontarci i motivi?
“Era la partita più attesa della stagione, forse di tutta la storia della Serie C: la finale dei play-off, Avellino-Napoli. Avevo già arbitrato Napoli-Avellino in campionato con 70.000 spettatori, record della competizione. La partita d’andata della finale era finita 0-0, quindi era ancora tutto aperto. L’ho rivista tante volte quella gara, avevo 33 anni ed ero pieno di speranze”.
Sei mai stato aggredito durante la direzione di una partita?
“Sì è successo, durante Catanzaro-Acireale, in quel momento erano prima e seconda in classifica. Una partita bellissima, ma molto nervosa. Era stata annullata una rete all’Acireale, sarebbe stata quella del pareggio, alla fine vinse il Catanzaro 1-0. L’assistente segnalò un fuorigioco ed aveva ragione, ma non c’erano VAR e tecnologia. In campo c’era Pulvirenti, all’epoca Presidente dell’Acireale, mi ha dato una spinta tra spalle e petto ma senza farmi nulla. Avevo commesso un errore anche io però, mi sono avvicinato troppo a lui ed in quel momento era troppo nervoso, poi si è scusato prontamente e l’ho apprezzato, ma è stato ugualmente squalificato”.
Ci sono stati altri momenti in cui non ti sei sentito al sicuro in campo?
“No, riprendo una frase di Collina, lui una volta disse di non essere mai stato aggredito perché era stato fortunato, non perché fosse più bravo degli altri. Anche io non ho mai avuto problemi di questo genere, non ho avuto la sfortuna di incontrare dei pazzi, la violenza sugli arbitri è un problema che andrebbe affrontato seriamente. Chi mette le mani addosso ha problemi, se lo fai ad un arbitro devi essere allontanato dallo sport e dal mondo del calcio”.
Quando un arbitro di Serie A sbaglia se ne accorge subito? Se sì come fa a gestire il resto della partita mentalmente lucido?
“Spesso si dice che un arbitro si accorge subito dei propri errori, ma non è sempre così. Ti faccio un esempio: Modena-Juventus in Serie B, una della partite peggiori della mia carriera, c’è un fallo di Del Piero su Campedelli ed io fischio fallo ma non avevo nemmeno visto, sono andato ad intuito. La partita finisce ed io non mi accorgo di nulla, fino a quando non usciamo dallo stadio e ved0 Campedelli uscire in stampelle. Quello era un fallo da espulsione, quello che oggi si chiama vigoria sproporzionata, con tacchetti alti e ginocchio rigido. Mentre stavo uscendo il mio migliore amico mi scrive: ‘Cos’è successo? Qua in televisione stanno facendo un casino’. Quindi ti posso dire che non è sempre così, spesso non ci si accorge subito“.
Parlando invece di pressione, è oggettivamente più difficile e quanto è più difficile arbitrare in uno stadio come San Siro o l’Olimpico rispetto a campi meno calorosi?
“A quei livelli si è professionali e professionisti, senti il rumore, senti che c’è tanta gente ed eventuali contestazioni, ma alla fine si arbitra. Non riuscirò mai a convincere chi legge che un arbitro non è influenzato, ma è così: in Italia si arriva in Serie A dopo 10/12 anni di percorso, in quel periodo hai imparato a sentire pressioni della squadra con 100, 1.000, 10.000 e poi 70.000 spettatori”.
Nel 2011 hai deciso di dimetterti dall’AIA, puoi raccontarci cosa ti ha portato a prendere una scelta simile?
“Mi sono dimesso perché c’erano stati tanti problemi. Nel 2010 sono stato sospeso per nove mesi, a causa di una faccenda assurda: una frase riportata che io non avevo mai detto. Potevo dimettermi subito dopo ma ho deciso di aspettare la fine della sospensione, cinque giorni dopo quel momento ho dato le dimissioni. L’AIA mi manca tutti i giorni, ma non quell’AIA. In quella attuale probabilmente ci lavorerei, ma adesso faccio altro e sono molto contento. La vita è troppo breve per odiare una persona, però ci sono persone che detesto e con cui non voglio più avere nulla a che fare, in quella dirigenza c’erano persone che detestavo”.
Ad oggi, dopo tanti anni senza stare sul terreno di gioco, cosa ti manca di più dell’essere un arbitro?
“Tutto, la sezione, i colleghi, le trasferte. Mi manca non aver potuto provare l’esperienza del VAR, mi sarebbe piaciuto arbitrare con la tecnologia. Mi manca tutto, per questo tengo viva questa passione in maniera alternativa. Ho creato un gruppo privato su Facebook per arbitri, in modo che anche questi siano liberi di esprimersi. Questo è anche un modo per tenermi a contatto con gli arbitri più giovani, spesso mi chiedono consigli comportamentali e non tecnici, a cui cerco di rispondere attraverso la mia esperienza”.
Cosa vorresti trasmettere agli arbitri più giovani?
“Vorrei fargli capire la responsabilità che hanno, questa esperienza gli cambierà la vita. Non voglio nascondermi, se non avessi svolto l’attività arbitrale quest’intervista non avrei mai potuto sostenerla. Io ero timidissimo, quando parlavo con le persone non le guardavo nemmeno negli occhi. L’attività da arbitro ti aiuta, ogni settimana ti interfacci con tantissime persone che non hai mai visto prima. La realtà è che uno su tremila riesce ad arrivare in Serie A: arrivarci è un grande risultato personale, però rimane a tutti una grande passione e un patrimonio personale da portare avanti”.
Oggi ricopri un ruolo molto utile in televisione, alla luce di questo, pensi che un arbitro debba poter parlare alla fine della partita e giustificare le proprie scelte?
“No, torniamo all’episodio di Modena-Juventus. Se quella partita si fosse svolta ieri io sarei dovuto andare in sala stampa senza sapere niente, anche se quello sarebbe diventato l’episodio della partita. Dovrei parlare con decine di giornalisti che mentre io mi stavo sistemando nello spogliatoio hanno discusso e rivisto l’episodio, mentre io non saprei nemmeno di cosa si stesse parlando. Nemmeno negli sport più evoluti degli Stati Uniti gli arbitri parlano dopo la partita, perché non ci sarebbe l’opportunità di conoscere a fondo quello che è successo. Sono d’accordo che gli arbitri debbano parlare nei giorni successivi, l’attenzione sull’episodio sarebbe in calo ma non ci deve interessare. L’arbitro deve pensare a diffondere una cultura nuova dell’episodio, si può sbagliare e ci saranno sempre errori perché siamo esseri umani”.
Vedendo gli errori commessi in Serie A nelle ultime stagione, ci sono dei miglioramenti che apporteresti al protocollo?
“Il protocollo così è perfetto, l’interpretazione ci sarebbe anche se fosse differente. Non è un caso che non sia mai stato modificato in sette anni, rimarrà questo e giustamente: ci sono dei paletti piuttosto rigidi che lo rendono uno strumento utile e necessario per gli episodi importanti. Non deve diventare una moviola in campo, trasformando il terreno di gioco in una tribuna sportiva come quelle che vediamo in televisione: queste sono utili, ma il campo deve rimanere il campo”.
In una tua vecchia intervista hai detto: “Gli arbitri sono professionisti ma non sono riconosciuti come tali”. Puoi spiegarci meglio questo concetto? Dal tuo punto di vista è un problema economico o di gestione del lavoro?
“Si tratta di un problema di gestione. A livello economico non si guadagna male, un arbitro come Orsato guadagna parecchie decine di migliaia di euro lordi all’anno. In Serie A e in Serie B però, in Serie C non si vive facendo l’arbitro. Il problema è proprio questo: con un contratto di un anno non si dà nessuna sicurezza economica, a quel punto diventa anche difficile avere sicurezze tecniche. Si ha sempre la paura di commettere quell’errore che ti porta ad essere dismesso, perdendo tutto quello che hai costruito in 15 anni di attività. Il professionismo è necessario ma se ne parla poco, forse perché fa bene così a tanti, ma per gli arbitri è un bel problema: avere un contratto di un anno che scade il 30 giugno significa lavorare tutti gli anni per farsi rinnovare il contratto. Nessun giocatore, tranne quelli a fine carriera, accetterebbero un contratto di un anno”.
Calciomercato
ESCLUSIVA – Qual è la reale situazione Sportiello-Milan? Firma ancora lontana
Pubblicato
2 settimane fa:
Maggio 23, 2023
Si sono fatte sempre più insistenti in queste ultime ore le voci di un accordo fra Marco Sportiello e il Milan. Il portiere dell’Atalanta, cercato dai rossoneri anche nell’ultima sessione di calciomercato, è il profilo preferito da Maldini per il ruolo di vice Maignan. Stando da quanto appreso dalla nostra redazione, però, le due parti sarebbero ancora ben lontane dall’accordo.
Giuseppe Riso, agente di Sportiello, ha dichiarato che le voci su un accordo quasi raggiunto sono infondate. Il procuratore del portiere atalantino, infatti, non si sarebbe ancora incontrato con la dirigenza dei rossoneri per discutere dell’eventuale accordo. Le parti devono ancora, dunque, sedersi al tavolo delle trattative e per la firma ci sarà ancora molto da lavorare.
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