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Uomini soli

Pensiero del Diez

Uomini soli

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Ci sono uomini soli per la sete d’avventura. Incipit di un prodotto storico per la canzone italiana anche se magari non di immediato riconoscimento.
La scelta primaria di affrontare avventure solitarie ogni 90 minuti in cui ogni minima scelta è decisiva. O bianco o nero, non c’è grigio. E nel giorno degli “anta” dell’uomo solo, del Portiere per antonomasia un ulteriore inno al ruolo si alza dall’Olimpico regno di Alisson e Viviano, uomini soli in quel di Roma, come riassunto di quello che è stato Roma-Sampdoria.

REPLAY

Quasi come per calpestare orme e imitare modelli inglesi di coppa dopo un pareggio, Roma e Sampdoria si contendono il secondo atto. Non un britannico “Replay” ma campionato italiano, con tutte le similitudini tra i due sistemi che svaniscono in immaginifichi e forzati accostamenti.
Settimana di fuoco giallorossa che oscurata da una preoccupante perturbazione proveniente da Londra, dal quartiere di Chelsea, mette fisico e testa a dura prova nei viaggi tra Milano prima, Genova poi e Roma in conclusione. Inter, Samp e ancora Samp a minare i nervi di un ambiente che da qualche tempo non vede il sereno.

La “testata” anti-mercato di Dzeko in quel di Genova al minuto 91, dopo strenua rincorsa al pareggio, episodio lampante per ipotesi di scacciata crisi e di cambio di marcia imminente. Miglior premessa per ripresentarsi all’Olimpico forti innanzitutto del secondo tempo convincente di qualche giorno prima, di recuperi fondamentali come Perotti ed El Shaarawy e di programmata assenza di gol – seduti in panchina – dalla parte blucerchiata.

Ma sul campo tutte premesse smentite perché

Siamo partiti malissimo, nei primi 25 minuti non siamo mai stati in partita.

Di Francesco dixit. Infatti la Doria fa più o meno quello che vuole, o quantomeno tutto quello che la Roma le lascia fare. Tanto.
Prima Caprari a giro – con mezzo Olimpico a soffiare su quel pallone e farlo uscire di millimetri –  poi Ramirez, sul corner Barreto da fuori, quindi Zapata e prima dell’intervallo con la doppia occasione ancora di Caprari.
Con una costante, Sant’Alisson da Novo Hamburgo. Patrono ormai del Foro Italico. Uomo solo, illuminato specialmente su Barreto e Caprari.

Nell’intermezzo la scaltrezza di Di Francesco che inverte gli esterni fin lì a piedi invertiti. Logica conseguenza l’allargamento della difesa doriana come risposta all’eliminata naturale usanza di Under e El Shaarawy di tagliare verso il centro del campo. Da lì qualche risposta in più verso la porta di Viviano. E come intermezzo del mare di occasioni blucerchiate il rigore solare per la parata di Bereszynski – forse invidioso del risalto guadagnato fin lì da Alisson.
Inedito Florenzi sul dischetto e finale – probabilmente già scritto nelle menti dei più scettici a sperimentalismi dal dischetto – che elogia il collega del neo Patrono giallorosso.
Viviano, uomo solo, in elogio al ruolo coadiuvato – va detto – della tutt’altro impeccabile esecuzione di Florenzi. Alzare il pallone è il più delle volte d’aiuto al numero uno che si ha di fronte. Ma persiste come usanza. E persistono i fallimenti.
Viviano che si ripete poi a distanza di pochi minuti sul diagonale di El Shaarawy per rilanciare la personale sfida di imbattibilità al collega giallorosso dall’altra parte del campo.
Orrendo score dal dischetto. 3 su 5. Quelli sbagliati. Ai due di Perotti di aggiunge quello del capitano di serata.
Tutte le premesse di inizio gara che si frantumano in pochi secondi., previsione di temuto tracollo.
Primo tempo che si chiude dunque con la netta superiorità blucerchiata. Davanti il coraggio di Di Francesco di ribadire la fiducia a Under non sembra aver riscosso le risposte attese. Decisamente a inizio gara sulla destra con qualche toppa solo a esterni invertiti. Dzeko invece troppo lontano dal fulcro della manovra offensiva e troppo poco pericoloso. Solo 3 saranno poi i palloni toccati in area in tutto il secondo tempo.
Inevitabile additare responsabilità e cercare alibi nel clima di mercato che avvolge la Roma e che per l’ennesima sessione di mercato trova eufemisticamente contrariati  i tifosi, costantemente colpiti da cicliche voci di addio sui gioielli in rosa e – probabilmente – arrivati al cosiddetto limite di sopportazione sui frequenti e preziosi addii non bilanciati da altrettante valide entrate. Umore riassunto in vernice sui teli appesi fuori dal centro di Trigoria giorni fa.


Il centrocampo il reparto – come spesso poi accade – a sbilanciare l’equilibrio di gara. Super infatti la prova di tutti e tre i giocatori centrali di Giampaolo. Barreto, Linetty e Torreira quasi impeccabili. Prestazioni confermate poi nel secondo tempo.

Secondo tempo che però inizia a trama invertita rispetto alla precedente. La Roma si sveglia e inizia a macinare gioco e occasioni continuando sulle premesse del primo tempo con gli esterni sulla fascia del proprio piede approfittando anche del calo atletico della Samp, nodo delle fatiche infrasettimanali.
Pellegrini su tutti prova a dare le risposte che servirebbero. Ma i conti vanno sempre fatti con l’oste.
E la Roma deve farli con Viviano. Tutta la gloria catturata da Alisson, scende sul portiere doriano in una successione di parate distanti pochi secondi.
Prima appunto su Pellegrini, poi, forse quella più difficile ma altrettanto fortunosa sul sinistro al volo di Under su cui mette letteralmente la faccia e sul cui proseguo è Silvestre il prodigio sui cui sbatte El Shaarawy.
Quattro occasioni in 10 minuti concluse con l’ennesimo epilogo. Sempre Viviano a dire no, anche sul rigore in movimento – in ordine temporale – di Pellegrini e poco dopo su Dzeko in ugual dinamica.

La denuncia di Di Francesco trova continui riscontri sul campo, alle tante occasioni create non segue altrettanto cinismo. Un problema più mentale che fisico o tattico. Relative in tal caso le responsabilità del mister.

Al minuto 80 trovano invece realizzazione le premesse del primo tempo con un’inversione di ruoli rispetto al mercoledì di Marassi. Al 91esimo era infatti servita la stella di Antonucci ad illuminare la via a Dzeko per il pareggio. Quattro giorni dopo il crudele responso del campo che di indulgenza per i giovani non ne ha, perché è evidente l’errore del classe 99 giallorosso in mancato controllo. La strada per Murru si spiana e Zapata – uomo d’area – incarna tutto il cinismo che manca ai giallorossi. 1-0 che resiste fino alla fine.

Nel calderone dei colpevoli e insufficienti di ieri c’è anche Kolarov. In realtà da tempo in difficoltà. Impossibile non notare l’involuzione del terzino che nel girone d’andata tanta differenza aveva fatto tra assist, gol e prestazioni di alto livello. Ma ad oggi, come tutta la Roma, in netto calo.
Gli ultimi minuti hanno poi evidenziato un ulteriore problema nell’11 giallorosso – oltre al denunciato mancato cinismo e un altro esterno di qualità che possa non far più rimpiangere l’ormai lontano Salah.
L’assenza gravosa – almeno ieri – di un difensore centrale che sappia impostare. La cronologia di lanci di Manolas di rincorsa degli ultimi minuti è un incedere di grossolani errori e incredibili limiti tecnici. Nessun tentativo del difensore greco andato a buon fine. Con la conclusone della semi-zappata che non permette neanche al pallone di alzarsi di quanto basta a superare i centrocampisti.
In tal senso è inevitabile la titolarità di Fazio, tra i difensori il più tecnicamente dotato e altrettanto affidabile là dietro.

Tunnel senza uscita sembra quello in cui si è immessa la Roma. Nonostante le prestazioni – fra alti e bassi negli stessi 90 minuti – costantemente tentando ad esserci.


Picco di rendimento per la Doria che guadagna tre punti ai giallorossi immediatamente davanti in classifica maledicendo forse quel minuto 91 di qualche giorno fa che ne tolto la possibilità di sentirne l’odore ancor più da vicino per sognare un sorpasso di certo non immeritato.
Giampaolo sempre più guida di una squadra cosa e armoniosa che smentisce anche prime illazioni di Quagliarella-dipendenza espugnando l’Olimpico senza il suo uomo più in forma in area.

In ultima istanza doverosa celebrazione dei veri protagonisti di serata.
Uomini soli nella sete d’avventura di 90 minuti. Viviano e Alisson con il loro inno al ruolo nella speciale sera degli anta dell’uomo solo per eccellenza decidono di fatto la gara.
Viviano ci mette la faccia in tutto e per tutto.
– nel torpore a tratti degli altri dieci inizia a intraprendere il cammino verso la pagana santità romana.

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Bundesliga

L’inaspettata crisi gestionale del Bayern Monaco

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Bayern Monaco

L’esonero di Julian Nagelsmann dalla panchina del Bayern Monaco è stato un fulmine a ciel sereno che ha scombussolato il calcio tedesco ed europeo in generale. Un evento inaspettato, arrivato per giunta durante la pausa delle nazionali, ma anche a ridosso di tre appuntamenti importantissimi per i bavaresi. Il Klassiker contro il Borussia Dortmund capolista (che vale il vertice della classifica), la semifinale di DFB-Pokal contro il Friburgo e, soprattutto, l’attesissimo quarto di finale di Champions League contro il Manchester City.

Una mossa rischiosa, dunque, cambiare in corsa in un periodo in cui i tedeschi si giocheranno tutti i trofei disponibili in stagione. Ma anche la scelta del sostituto di Nagelsmann, Thomas Tuchel, va in controtendenza con i progetti che la dirigenza bavarese aveva sposato appena un anno e mezzo fa. Un cambiamento che è, forse, la goccia che ha fatto traboccare il vaso nell’ambiente Bayern che, in questi ultimi mesi, sta vivendo una profonda crisi a livello gestionale.

LA DIRIGENZA DEL BAYERN BOCCIA IL SUO STESSO PROGETTO

La scelta di esonerare Julian Nagelsmann sembra, innanzitutto, in controtendenza con il progetto che il Bayern Monaco aveva sposato un anno e mezzo fa. Quando pagò la clausola di ben 25 milioni per assicurarsi l’ex allenatore del RB Lipsia, facendogli firmare un contratto quinquennale.

Certo, i risultati in questo anno e mezzo sono stati altalenanti. Due trofei in bacheca: il Meisterschale e la Supercoppa di Germania. Ma anche una cocente eliminazione nella scorsa Champions League per mano del Villareal. Inoltre, pesa nella scelta anche il rendimento ondivago in Bundesliga in questa stagione. Con il Borussia Dortmund che è riuscito a recuperare ben 10 punti in 10 partite e a scavalcare i bavaresi in vetta al campionato.

Ciò sembrerebbe comunque troppo poco per giustificare un esonero in corsa di Nagelsmann, che resta comunque uno dei più grandi allenatori europei in prospettiva futura, avendo solamente 35 anni. Con, quindi, ancora tutto il tempo per migliorarsi e sviluppare le proprie idee.

La scelta di affidarsi a Tuchel potrebbe sembrare un passo indietro per il Bayern Monaco. L’ex tecnico di Chelsea e PSG ha dimostrato di avere idee di gioco diverse e meno radicali di quelle di Nagelsmann, che invece aveva dato al suo Bayern un’impronta più avanguardistica, con un gioco iper offensivo improntato al Gegenpressing. Armi con il quale Nagelsmann ha saputo piegare il Paris Saint-Germain nella doppia sfida degli ottavi di finale di Champions League; ma anche dominare un girone di ferro con Inter e Barcellona.

LE DISCUTIBILI MOTIVAZIONI DELL’ESONERO

Come se non bastasse, anche le tempistiche di alcune dichiarazioni fanno pensare che la scelta di esonerare Nagelsmann potrebbe essere stata poco sensata. Fa riflettere in particolar modo quella del presidente del club tedesco Herbert Heiner. Il numero uno dei bavaresi si era infatti schierato a favore di Nagelsmann con queste parole:

“Si tratta di un grande allenatore che anche nel doppio confronto con il PSG ha dimostrato di essere tatticamente e a livello strategico ai massimi livelli. Gli abbiamo fatto un contratto quinquennale perché vogliamo costruire qualcosa di importante con lui e i progressi si sono già visti in questo primo anno e mezzo”.

Parole di elogio, dunque, pronunciate neanche tre giorni prima dell’esonero. Si era parlato anche di uno spogliatoio ormai contro l’allenatore. Ma neanche questa ipotesi sembra aver un fondamento. Anzi, Joshua Kimmich, capitano del Bayern Monaco, ha rilasciato un’intervista in cui cita Nagelsmann fra migliori allenatori che abbia avuto in carriera. Un altro senatore come Thomas Müller ha dedicato un post in cui fraternizza col suo ex allenatore dopo l’esonero. Dunque, non starebbe nemmeno in piedi la teoria di un ammutinamento dello spogliatoio nei confronti dell’allenatore, avallando sempre più l’ipotesi di una scelta voluta da Kahn e Salihamidzic.

Si era anche parlato di come Nagelsmann non avesse sviluppato a pieno il talento dei suoi giocatori. Ma, a ben guardare, anche questa è una falsa considerazione. Visto che è riuscito a recuperare Benjamin Pavard, che da partente è passato a essere nuovamente un perno della squadra. O la valorizzazione di pedine facenti parte delle seconde linee quali Stanisic; della crescita esponenziale di giovani come Alphonso Davies e Jamal Musiala. Nonché dell’inaspettata centralità di un giocatore come Choupo-Moting. E ancora i vari Coman, de Ligt, Upamecano, che hanno mostrato grandissimi progressi in quest’ultimo periodo.

IL CASO NEUER

Come se non bastasse a rendere l’ambiente del Bayern Monaco una vera e propria polveriera, ricordiamo anche il caso che ha riguardato Manuel Neuer. Il portierone tedesco è stato duramente ripreso dopo la rottura della tibia e del perone in un incidente sugli scii.

Dopo l’accaduto il rapporto fra il club e Neuer sembra essersi logorato. Kahn e Salihamdizic hanno licenziato Toni Tapalovic, allenatore dei portieri e fedelissimo di Neuer, oltre che suo grande amico. In tutta risposta, l’ex Schalke 04 si è pesantemente sfogato contro la società in un’intervista a The Athletic. Intervista, peraltro, che la società non gli aveva permesso e che, dunque, gli è costata una multa di ben 1,6 milioni di euro.

Sono tutti indizi di un ambiente che, in quest’ultimo periodo, sembrerebbe essere sempre più logoro. Un’evento molto strano in casa Bayern Monaco, visto che stiamo parlando di un club che, sia dentro che fuori dal campo, ci ha da sempre abituati a un livello di gestione eccellente. Solo il tempo ci dirà se la dirigenza sta procedendo in maniera oculata, o se sta effettivamente perdendo il controllo di una situazione forse mai così tesa come in questo momento all’interno della società.

 

 

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Calcio Internazionale

Débacle azzurra al Maradona: da chi può ripartire l’Italia di Mancini

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PSG

Parte con un’ingloriosa frenata in casa contro l’Inghilterra il viaggio verso l’Europeo 2024 dell’Italia di Mancini.

Una partita che ha mostrato un’Italia assai diversa rispetto a quella spettacolare scesa in campo nell’indimenticabile spedizione europea del 2021, e che ha messo alla luce disparate mancanze della nostra nazionale, sia dal punto di vista del gioco che delle scelte tecniche, a dire il vero abbastanza rivedibili.

PRIMO TEMPO

Nel primo tempo azzurro non ha letteralmente funzionato nulla. Un’Italia attendista e tremendamente disequilibrata ha ceduto il passo a un’Inghilterra che ha mostrato una cilindrata nettamente superiore e che si è portata avanti di due gol, che sarebbero stati tre se Grealish non avesse deciso di graziarci sparando fuori a porta vuota.

I primi 45 minuti dell’Italia sono stati caratterizzati da un palleggio sterile e da vari errori di impostazione, con la mediana azzurra in grande difficoltà sia in fase di costruzione della manovra che in quella di rottura, con una difesa in balia degli eventi e assolutamente da registrare.

Il primo tempo dell’attesissimo Retegui è stato fantasmatico e caratterizzato essenzialmente da una serie di anticipi da parte di Maguire e poco più. Il classe ’99 è stato limitato dalla retroguardia inglese per tutti i 45 minuti, segno che ha bisogno di entrare negli ingranaggi tattici della nazionale necessitando del fisiologico periodo di ambientamento.

SECONDO TEMPO

Il secondo tempo ci ha mostrato un’Italia più arrembante ed aggressiva, ma guidata più dallo spirito e dalla rabbia che da una vera e propria idea tattica e di gioco.

Il gol di Retegui (unica scintilla dell’attaccante dell’attaccante del Tigre in una partita pressoché opaca) scaturito da un recupero palla e da un‘imbucata di Pellegrini si rivela essere l‘unico tiro in porta degli azzurri, troppo poco per arrivare a parlare addirittura di un’Italia dominante nel secondo tempo.

Gli ingressi di Cristante, Tonali, Politano e Gnonto non hanno apportato un gran surplus, se non qualche tentata verticalizzazione e qualche guizzo offensivo.

SCELTE TECNICHE E UTILIZZO DEI GIOVANI

Ci sarebbe da aprire una breve parentesi sulle scelte di Mancini, che ha deciso di schierare come centrali di difesa Acerbi e Toloi, due difensori abituati a giocare in una difesa a tre e quindi non molto funzionali al 4-3-3 azzurro. Tra l’altro dopo tutti i discorsi venuti fuori sull’utilizzo e la valorizzazione dei giovani, portati avanti proprio da Mancini, fa specie vedere titolari come centrali difensivi della nostra nazionale un classe ’88 e un ’90.

Nel reparto arretrato tricolore sono presenti talenti del calibro di Scalvini o Bastoni (a questo turno infortunato ma molto raramente schierato dal nostro CT anche quando disponibile), oltre che il sontuoso Mancini della Roma o il duo difensivo della Lazio Casale e Romagnoli, diga biancoceleste che ha portato a referto della squadra romana 16 clean sheet stagionali.

Il discorso è ampliabile anche nel ruolo dei terzini, dove a sinistra sarebbe interessante valutare un gioiello come Udogie, sprizzante classe 2002 già di proprietà del Tottenham e in forza all’Udinese.

Il discorso non è molto differente per quanto riguarda il centrocampo. Reparto ormai in affanno da un po’ di gare, non vedrebbe male l’inserimento di giovani del calibro di Fagioli, Frattesi o Baldanzi, che possono dare vivacità e statura a un centrocampo che ha bisogno di più guizzi e fisicità e che è forse il reparto azzurro più ricco di risorse, in cui quindi è più possibile sperimentare.

In attacco bene il gol di Retegui, che, come detto, ha comunque bisogno di entrare nei meccanismi della squadra, ma stupisce l’assenza di Zaccagni, faro offensivo della Lazio di Sarri, o la mancata titolarità del secondo marcatore della Bundesliga, Vincenzo Grifo.

CONCLUSIONI

L’Italia di Mancini ha bisogno di ripartire dal talento e dalla vivacità dei giovani, che (tralasciando retoriche inutili e discutibili) ci sono e vanno valorizzati. Sta al nostro tecnico trovare il coraggio di lanciarli in campo e rinnovare una squadra che non può sopravvivere di rendita e non può puntare sulla stessa medesima rosa di Euro2021, scarica ormai di stimoli e che inizia anche a porre quesiti anagrafici.

A oggi l’unica cosa salvabile di questa nazionale è la nuova maglia.

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I Nostri Approfondimenti

Transfermarkt, ecco i nuovi valori! Osimhen quota 100, crollano Lukaku e Pogba

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Osimhen

Transfermarkt, con la Serie A alle porte di aprile ed una stagione entrata nel vivo, ha modificato ed aggiornato i valori di mercato dei calciatori del nostro campionato. Le scoperte più piacevoli riguardano sicuramente la straordinaria stagione del Napoli, mentre tra le squadre di Milano e di Torino sono stati evidenziati alcuni inevitabili cali.

IL NAPOLI GONGOLA: NUMERI DA CAPOGIRO

Primi in Serie A a +21, primi nel girone di Champions e… prima favorita per il lato destro del tabellone, quello con Milan, Inter e Benfica, tra le quali svetta un Napoli ambizioso e coscienzioso circa la possibilità di raggiungere la prima finale di Coppa dalle grandi orecchie della sua storia. Transfermarkt non poteva far altro che certificare nero su bianco questo dominio e ciò si riflette, naturalmente, sulle valutazioni di mercato dei suoi protagonisti.

Victor Osimhen è la stella non solo del Napoli ma del campionato intero. Il suo valore di mercato tocca ora una quota pari a 100 milioni di euro. Un record, per la Serie A, raggiunto in passato solo da Dybala (110 di vdm) e Lukaku (100 di vdm).

Al secondo posto l’altro diamante più brillante di questo splendido Napoli, Khvicha Kvaratskhelia. E la sua crescita rappresenta davvero un unicum in questo campionato di Serie A: sbarcato in azzurro con un valore di 15 milioni di euro, il georgiano ha prima visto la sua quotazione toccare i 35 a settembre, i 60 a novembre e ora gli 85 milioni di euro a marzo 2023. Con l’impatto avuto ed uno score di 14 gol e 16 assist in 30 partite, d’altronde, era inevitabile.

Un altro straordinario esempio in tal senso è Kim Min-Jae. Arrivato dal campionato turco con un vdm di appena 14, oggi, dopo meno di un anno, vede il suo valore toccare meritatamente la quota Transfermarkt di  50 milioni. Una quotazione indiscutibile, visto il rendimento straripante del sud-coreano.

In generale, però, è tutto il Napoli ad essere cresciuto nei suoi interpreti: Lobotka, che fino a qualche tempo fa sembrava addirittura fuori dal progetto Napoli vale ora 38 milioni, Zambo Anguissa, con le sue straordinarie doti atletiche vede il suo vdm stimato in 40, Eljif Elmas, riserva di lusso della formazione di Spalletti ben 26, mentre Meret e Olivera 18.

Un tripudio sotto ogni punto di vista.

MILAN, INTER E JUVE TRA CROLLI E SORPRESE INATTESE

La stagione delle strisciate non è andata come sperato sotto diversi punti di vista: la Juventus tra problemi giudiziari, una Champions fallimentare e un avvio di stagione horror ha immediatamente rinunciato alla corsa scudetto; l’Inter, che vive una stagione benevola dal lato Coppe, è comunque protagonista di un’annata contraddistinta dal nervosismo e dalla scarsa costanza, con 9 sconfitte in campionato; il Milan è un viavai di alti ma soprattutto di bassi, con una buona campagna europea sovrastata dal terribile rendimento nelle coppe nazionali e da continui cali in campionato che hanno fatto scivolare il club al quarto posto. Ciò, ovviamente, si riflette sui valori dei giocatori, sebbene ci siano alcuni punti interessanti da considerare.

Rafael Leão, precedente MVP di Serie A, vede la sua valutazione Transfermarkt scendere sensibilmente di cinque milioni, da 90 a 85. Il cambio di posizione in campo non gli ha giovato e, come molti, paga il momento opaco del Milan che fatica a trovare un’identità e una veste tattica convincente. Lo seguono a ruota nei cali una lunga serie di giocatori tra cui De Ketelaere, ad esempio, che ora è quotato 27, una valutazione tutto sommato ancora alta per un giocatore offensivo con 0 goal e 1 assist in stagione. Nella lista, Tomori, Calabria, Pobega, Dest, Rebic, Vranckx, Origi e Bakayoko. Fa ben sperare la crescita di Malick Thiaw: l’ex-Schalke 04 ha toccato quota 15 milioni di euro di valore.

Sulla sponda nerazzurra di Milano non ci sono grandi sconvolgimenti, fatta salva l’eccezione Romelu Lukaku. Il belga era tornato all’Inter con una valutazione di 70 milioni di euro che, ad oggi, è inevitabilmente crollata – e non potrebbe essere altrimenti – a quota 40. Una discesa verticale che ben racconta la deludente stagione dell’ariete di proprietà del Chelsea, destinato a far ritorno a Londra a luglio 2023.  A seguirlo negli abbassamenti di vdm ci sono Brozovic, – autore di una stagione anonima – Correa, – sempre più fuori dal progetto – de Vrij – in scadenza a fine anno – e Bellanova – di probabile ritorno al Cagliari. Piccole note d’incoraggiamento arrivano da Carboni (ora vale 4 milioni), Onana la cui titolarità ha portato ad una quotazione di 20 milioni e Lautaro, tornato al suo peak di 80 milioni.

In casa Juventus vige una situazione simile. Se è vero che l’inizio di stagione è stato da film horror, è altrettanto vero che una ripresa c’è stata, nel segno dei giovani. Partendo dai cali, il primo della lista è indubbiamente Dušan Vlahović: un anno fa valeva 85, oggi registra una quotazione scesa a 75 milioni di euro. Un crollo che certifica lo scarso momento di forma del centravanti serbo, il quale tra acciacchi fisici e scarsa prolificità in zona gol sta vivendo una stagione tra luci e ombre. Problema simile per Federico Chiesa: il percorso di recupero dall’infortunio non sta andando come sperato e i soli 645′ minuti giocati – sebbene di qualità – sono testimoni di una stagione in cui il ragazzo non sta ripagando le aspettative in termini di presenza. Pre-infortunio valeva 70, ora sono solo 50.
La vera delusione, tuttavia, risponde al nome di Paul Pogba. 35′ minuti in stagione, infortuni a catena, ritardi agli allenamenti e tanta, tanta sfortuna contribuiscono ad alimentare una situazione paragonabile a quella di Lukaku – ma che probabilmente è ben peggiore. Al momento della firma con la Juventus il suo valore si attestava sui 48; ora, quella cifra, è scesa a 20.

Non mancano, però, anche le incoraggianti note positive: tra queste Adrien Rabiot, il quale vede il suo valore risalire lentamente verso quelle cifre che vantava solo quando vestiva la maglia del PSG. Da 22, il francese è passato ad un vdm di 30 milioni di euro. Sempre a centrocampo, aumentano le sorprese positive con Nicolò Fagioli il cui valore si attesta ora sui 20 milioni e Barrenechea che tocca quota 900mila. In controtendenza c’è Leandro Paredes, sempre più escluso dalle rotazioni, con un vdm crollato a 12. Crollano a 2.5 Bonucci e a 3 Kaio Jorge, appena ripresosi dall’infortunio.

IN GENERALE…

Non ci sono poi grossi sconvolgimenti nel resto del panorama di mercato della top five di Serie A. In casa Lazio segnaliamo la promettente crescita dei valori Transfermarkt di Casale (17 di vdm) e Zaccagni (25 di vdm) mentre sponda giallorossa, troviamo la quota di Roger Ibañez salita a 30 milioni.
In casa Atalanta, invece, c’è molto di cui parlare e i profili da segnalare non mancano. La scommessa Rasmus Højlund, ad esempio, è stata brillantemente vinta: il classe 2003 ha appena raggiunto il suo momentaneo peak a 35 mln, grazie ad una stagione da protagonista assoluto in nerazzurro. A ruota seguono Ademola Lookman, grande intuizione del club orobico e Giorgio Scalvini, prodotto del vivaio della squadra di Bergamo: secondo Transfermarkt, accaparrarsi entrambi vorrebbe dire spendere almeno 30 milioni per ciascuno.
Scendendo di posizione in classifica trova spazio l’ex-Ajax Perr Schuurs (20 di vdm), la sorpresa Laurienté (18 di vdm), lo straordinario Vicario (16 di vdm), Arthur Cabral (14 di vdm)Carnesecchi (13 di vdme la baby-sorpresa dell’Empoli, Tommaso Baldanzi (10 di vdm).

I trend sembrano segnalare grosse possibilità di crescita per i giovani, un inevitabile calo per i calciatori più anziani e un giustificato scetticismo verso i cavalli di ritorno. Nella grafica sotto, invece, breve panoramica circa i calciatori più cresciuti in Serie A fornita da Transfermarkt.

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I Nostri Approfondimenti

Quando la figura del “calciatore-influencer” non funziona

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calciatore

Fama, soldi, benessere e tutte le attenzioni del mondo. Quella del calciatore è una vita che sicuramente, in un modo o nell’altro, si intreccia con l’opinione della massa. In un momento storico dove ogni follower ha un peso economico e dove il “mi piace” rappresenta la moneta di scambio, ogni calciatore regna sovrano. L’atleta di successo è sempre più oggetto di desiderio di sponsor, marchi e brand che vogliono associare il proprio nome a quello dello sportivo. Più follower, più numeri, più soldi: un circolo vizioso dove il calciatore può solo vincere, forse.

POPOLO DÀ, POPOLO TOGLIE

La figura del “calciatore-influencer” è un tema moderno, ancora da esplorare. Come spesso accade per interpretare i nuovi fenomeni è necessario conoscere il passato, perchè bisogna sapere da dove si viene per capire dove si sta andando. Una risposta alla nostra questione ce l’ha data infatti due secoli fa la scuola tedesca di filosofia, Hegel su tutti. Ne “La fenomenologia dello spirito” il pensatore esprimeva la sua teoria riguardo il rapporto tra servo e padrone.

Il servo è obbligato a servire il suo padrone finché si rende conto che in realtà è il padrone a dipendere da lui“.

La stessa ratio si può applicare al tema preso in considerazione. Il calciatore è il gladiatore moderno, innalzato dalla vox populi a figura eletta. L’opinione pubblica nella nostra società liquida si sposta velocemente, fa e disfa personaggi e soprattutto si stanca facilmente. Chi rimane sulla cresta dell’onda naviga a gonfie vele, chi compie un passo falso viene buttato giù con la stessa velocità con cui era stato portato in alto.

POGBA

Di esempi di giocatori che sono passati da essere idoli indiscussi a personaggi scomodi ne è pieno l’archivio. Per non fare troppi passi sulla linea temporale possiamo prendere i casi di Pogba e Zaniolo, i quali per motivi differenti tra loro rappresentano lo specimen perfetto del discorso.

Il francese nel giro di mezza stagione ha perso l’appoggio di una tifoseria che, fino a 10 mesi prima, stravedeva per lui. Se il destino ha giocato la sua parte, complicando il percorso di guarigione del giocatore, il Polpo ha sicuramente gettato benzina sul fuoco. Le foto in settimana bianca, le dirette su Instagram e le frasi fuori luogo: in un secondo Pogba passa da “campione dal grande estro” ad “arrogante ingrato”. Gli slogan, le acconciature e i balletti che lo hanno reso celebre ora sono fonte di acredine per i tifosi bianconeri, sempre meno affezionati al giocatore.

ZANIOLO

Per quanto riguarda Zaniolo verrebbe naturale a questo citare il trasferimento, ma in verità è necessario fare un passo indietro. Se è vero che la caldissima tifoseria della Roma ha abbandonato definitivamente il proprio pupillo solo nella finestra di mercato invernale, il giocatore ha sbagliato il proprio modo di porsi nei confronti del pubblico già molto tempo prima.

C’è un Nicolò pre-infortunio ed uno post-infortunio. Il doppio ‘crack’ del crociato avrebbe messo sotto pressione qualsiasi giocatore, soprattutto in piena rampa di lancio come lui. Invece di lavorare nel silenzio, però, Zaniolo nei due anni di inattività ha cercato (e ottenuto) l’attenzione del pubblico italiano. Così facendo il ragazzo ha caricato di aspettative il proprio rientro, non riuscendo a tornare quello di prima. Federico Chiesa, d’altro canto, è sicuramente un personaggio dall’appeal mediatico meno attraente, ma il suo rientro in campo è stato accolto da qualunque tifoso italiano con un sorriso.

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