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Sannino: "Serie A Il campionato più difficile al mondo."

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ESCLUSIVA – Giuseppe Sannino: “Serie A il campionato più difficile. Il Chievo farà il suo buon campionato, Palermo merita la A…”

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Abbiamo avuto la fortuna di scambiare quattro chiacchiere con Giuseppe Sannino, ex allenatore di Chievo, Siena Palermo su tutte, riguardo l’inizio della nostra serie A con alcuni riferimenti ai campionati che dovranno affrontare alcune delle squadre da lui allenate negli anni passati.

Nella sua carriera tra i professionisti si è seduto su ben su diciotto panchine, l’ultima quella di Triestina nella passata stagione.

 

Queste due prime giornate di Serie A ci hanno riservato partite bellissime contraddistinte dell’equilibrio e dallo spettacolo, venuti a mancare troppo spesso in Italia negli anni passati. Esempi chiari sono il debutto della Juve a Verona e il pirotecnico 3-3 nella serata di lunedì tra Roma e Atalanta. Quanto ritiene che si sia alzato il livello del nostro campionato? E soprattutto è in grado di competere con i maggiori europei come la Premier League o è ancora un gradino sotto?

“Il discorso lo condivido in parte. I campionati in Italia sono sempre partiti in questa maniera, visto che molte squadre, sopratutto le più forti, hanno bisogno ancora di trovare i giusti assetti e ciò non può che causare partite con molti gol e risultati inaspettati. Però in generale ritengo che il nostro calcio sia profondamente diverso da quello britannico. In Inghilterra lo si vive in un’altra maniera, con la stessa passione, ma con una leggerezza maggiore come se fosse sempre un divertimento ed una festa. È un qualcosa di coinvolgente ed emozionante e non ti puoi non far travolgere dal supporto dei tuoi tifosi. Ogni squadra se la gioca a viso aperto, senza tener conto della forza dell’avversario, questo fa parte della loro cultura e rende la Premier il campionato più bello e spettacolare tra tutti, nonostante rimanga innegabile la poco curanza che hanno del reparto difensivo e dell’ambito tattico. Inoltre il loro senso di appartenenza è senza dubbio una cosa determinante, visto che in pochi altri paesi la gente supporta esclusivamente la squadra della propria città, anche se in categorie minori.
Per quanto riguarda il nostro campionato invece credo che andando avanti nel corso della stagione le compagini costruite per arrivare nelle prime posizioni riusciranno ad aggiunger il bel gioco ai risultati concreti. Milan e Inter su tutte devono ancora trovare le loro certezze oltre che i primi punti importanti ; Roma, Napoli e Juve hanno palesato una condizione fisica non ancora ottimale, che a parer mio riusciranno in breve tempo ad ottenere così da imporre la loro supremazia, insieme alle milanesi, su tutte le altre.
Comunque non si può negare come negli ultimi anni la Serie A stia salendo di livello, grazie a squadre come l’Atalanta che tendono ad essere sempre propositive e mai rinunciatarie in ogni loro sfida, e anche a causa di un maggiore equilibrio e di tanti altri fattori, che non rendono il nostro campionato il più bello ma sicuramente il più difficile.”

Quanto pensa abbiano potuto influenzare gli importanti acquisti di Ronaldo, su tutti, ma anche di Emre Can, Vrsaljko, N’Zonzi e Pastore sul miglioramento della Serie A?

“Il nostro calcio ha toccato l’apice con l’arrivo di numerosi stranieri che non hanno fatto altro che impreziosire il tasso tecnico dei vari club italiani e quindi della Serie A. Quando penso a Van Basten, Maradona, Gullit, Batistuta, Ronaldo il Fenomeno, Platini, Deschamps, Simeone mi ritornano in mente ricordi e momenti impossibili da dimenticare. In questo mercato sono stati piazzati diversi colpi di prima fascia che non potranno che garantire più qualità e costituiscono ad oggi il punto di partenza per tornare ai grandi livelli di un tempo. Resta il fatto che c’è ancora un fattore da non sottovalutare per chi arriva nel nostro campionato, ovvero l’adattamento. L’esempio chiave è quello di Cristiano Ronaldo, micidiale in Spagna nello sfruttare gli spazi aperti con la sua velocità. In Italia invece sin dall’esordio ha trovato un Chievo ben compatto e chiuso negli ultimi venticinque metri che non ha permesso all’asso portoghese di esprimere al meglio tutto il suo talento sconfinato. Una volta prese le misure però sicuramente garantiranno tutti prestazioni degne dei loro nomi, anche se ambientarsi non è mai facile.”

Questo sicuramente sarà anche il campionato degli allenatori, pronti a far vedere le loro doti gestionali e calcistiche. Oltre ai già conosciuti e rodati Allegri, Ancelotti, Spalletti, Inzaghi, Di Francesco sono pronti ad emergere anche altre figure come Gattuso, Velazquez e Semplici. Lei che è stato su panchine di club importanti del nostro calcio quale crede che sia il migliore e chi potrà rivestire il ruolo di sorpresa?

“Al momento non posso che dare la palma del migliore a Gasperini. L’Atalanta gioca in maniera strabiliante ed incantevole e lui sta vivendo il momento più roseo della sua intera carriera. È riuscito a dare alla squadra un gioco ben composto e studiato, del tutto singolare da queste parti, che prevede marcature ad uomo in ogni zona del campo, con un continuo pressing che porta a vari dispendi di energia. Nonostante ciò le sue idee fino ad ora gli stanno dando ragione, visti anche i risultati ottenuti negli ultimi due anni, e come tutta la squadra conosca a memoria i suoi insegnamenti e riesca ad applicarli con facilità sul campo e per questo non possiamo far altro che complimentarci con lui. Bergamo è sicuramente il posto in cui si è consacrato e in questa stagione la Dea sarà un avversario molto difficile per chiunque. Quello che mi piacerebbe maggiormente sarebbe vedere i prospetti che escono dell’Atalanta affermarsi anche in altre realtà, sopratutto quelle più importanti, in cui troppo spesso non riescono ad imporsi, come Gagliardini e anche il primo Cristante romano.
Per quanto concerne gli altri allenatori uno che mi sta stupendo molto è Semplici, capace di portare la Spal dalla Lega Pro fino alla A in soli tre anni, facendo vedere a tutti le sue doti da allenatore e la capacità di saper lavorare fianco a fianco con i giovani. Dopo la salvezza dello scorso anno penso che sia uno dei tecnici più bravi del nostro campionato, al quale manca poco per affermarsi definitivamente.”

Tra le sue più note avventure calcistiche vi è sicuramente quella con il ChievoVerona, anche se non è durata quanto ci si aspettava. Ad oggi gli scaligeri guardano la classifica dal basso con zero punti a carico, dopo i due match più complicati contro Juventus e Fiorentina. La paura di molti però è che la squadra non sia in grado di fronteggiare sempre nella giusta maniera gli avversari a causa di un roster non ben assemblato e con diverse lacune in alcuni reparti.
Ritiene che il Chievo possa condurre un cammino tranquillo in campionato o che si ritroverà a soffrire fino alle ultime giornate per la salvezza come nella passata stagione?

“Il Chievo in questo momento è una squadra dai due volti. Quello bello, disinvolto ed organizzato mostrato contro la Juventus, che ha trovato il gol vittoria solo agli sgoccioli della partita, e quello brutto, malconcio e disperso che abbiamo potuto notare nella trasferta fiorentina, dove i viola hanno dominato incontrastatamente per tutta la durata dell’incontro siglando ben sei gol. Nonostante tutto siamo ancora all’inizio e comunque penso che alla fine riuscirà a fare il suo campionato, anche perché nel passato ha sempre saputo lottare e soffrire per mantenere la categoria e questo è un grande vantaggio. Quest’anno sarà sicuramente più complicato anche per D’anna doversi cimentare su 38 partite ed ottenere i punti necessari per raggiungere gli obiettivi prefissati dalla società.”

Attualmente come guida tecnica della squadra vi è Lorenzo D’Anna, promosso dopo le ottime stagioni in Primavera e il conseguimento della salvezza da subentrato nell’ultima annata.
Crede che abbia le giuste potenzialità per guidare una panchina di un club di Serie A con determinati obiettivi come il Chievo?

“Personalmente me lo auguro per lui, nutrendo grande rispetto nei suoi confronti, in quanto mi rivedo molto in questi ragazzi chiamati a fare il grande salto, anche se i nostri percorsi sono stati ben diversi. Se la società lo ha messo lì vuol dire che è competente e che ha le giuste caratteristiche per rivestire questo ruolo. Quindi non posso far altri che augurare buona fortuna a D’Anna e al suo vice Mandelli, che ho avuto la fortuna di allenare ai tempi della primavera del Monza, da sempre grande uomo di calcio ma ancora prima ottima persona sempre rispettosa verso il suo lavoro.”

In molti ricordano ancora il suo periodo siciliano alla guida del Palermo. Nonostante i rosanero siano una squadra storica del nostro calcio, negli ultimi anni al posto di risultati concreti si sono viste disorganizzazione e a volte incompetenza che hanno portato a numerose delusioni come le diverse retrocessioni e la mancata promozione dalla B che costerà un altro anno tra i cadetti. Quali pensa siano i fattori di queste molteplici, recenti disfatte?

“Palermo è una città bellissima nonché una società molto importante nel panorama calcistico che merita la Serie A. Il presidente Zamparini da sempre è sotto l’occhio del ciclone e delle critiche per i suoi atteggiamenti molto vulcanici anche se a volte si tende a sottolineare solo questo e non molto altro. Difatti personalmente, sebbene il rapporto iniziale sia stato parecchio burrascoso, ho trovato un presidente, ma prima di tutto un uomo, molto generoso e serio, che tiene alla squadra, di cui ne è tifoso, in grado come tutti di commettere errori, sopratutto dal punto di vista gestionale a causa di alcune decisioni affrettate.
I soldi che lui ha investito nei suoi anni in rosanero confermano ciò, visto che il Barbera lo hanno calcato giocatori del calibro di Pastore, Ilicic, Dybala, Sirigu, Barzagli e Cavani, in grado di far provare grandi emozioni alla città.
Comunque i ricordi che ho della Sicilia rimangono sempre molto graditi. Nella mia stagione a Palermo infatti dopo esser stato licenziato subito, subentrai a Gasperini nelle ultime dieci giornate e riuscimmo in un primo momento in una cavalcata straordinaria che portò alla vittoria contro Inter e Roma ma che purtroppo non valse la salvezza. Nonostante ciò a fine anno i tifosi ci ringraziarono dopo aver constatato i nostri sforzi, regalandoci un’ultima grande partita in casa dove ci accompagnarono dall’albergo fino allo stadio cantando a squarciagola sebbene fossimo già retrocessi. Quelle emozioni e quei momenti resteranno per me sempre un qualcosa di magico e questa tifoseria sicuramente merita i grandi palcoscenici e dispiace ancora non esser riusciti a gioire insieme in quell’anno.”

La piazza comunque rimane sempre molto esigente e non ha sicuramente digerito l’eliminazione ai playoff contro il Frosinone, nonostante le circostanze verificatesi in quel match . Crede che il Palermo abbia le giuste carte per risalire in Serie A nonostante anche quest’anno le dirette concorrenti siamo di alto livello?

“Credo di sì e lo ha già dimostrato nella prima uscita stagionale prendendosi un buon punto a Salerno, con una squadra ben assortita dopo un ottimo mercato in entrata. Il Palermo però deve sempre puntare a vincere questo campionato, nonostante la difficoltà che lo caratterizza e le varie contendenti pronte a dare battaglia. Sicuramente altre compagini che vorranno far bene subito sono Benevento e Verona per il loro mercato e per regalare nuove gioie ai tifosi. Alla fine comunque il despota in questo sport lo fa sempre il campo, i cui verdetti vanno aldilà di eventuali pronostici o considerazioni.”

Per finire, lei che è un allenatore di grande caratura, avendo esperienza di Serie A e di B, quali sono i consigli che dà a chi si sta facendo le ossa nei campionati minori e a coloro che hanno appena iniziato questa splendida professione?

“Ho sempre ritenuto l’allenatore il fulcro di una squadra, essendo il collante tra i dirigenti ed i giocatori, che devono esprimere una determinata idea di gioco. Quindi è necessario sempre mettersi sotto esame ed essere pronti a fare dei sacrifici. Le chiavi per svolgere questo mestiere sono, oltre che un’ottima conoscenza del gioco, la capacità di saper gestire una squadra sia dal punto di vista mentale che calcistico, e di creare legami con ogni singolo giocatore e con la società in modo da stabilizzare l’ambiente, base per mettere in piedi dei progetti seri. Ovviamente non è tutto così semplice, ma bisogna capire che spesso le cose non andranno per il verso giusto, vista l’importanza e l’influenza di fattori esterni come la fortuna. Infatti basta un pizzico di essa per ritrovarsi catapultato in una realtà molto importante dove far valere le proprie potenzialità prima di quanto abbiano potuto fare altri. L’esempio classico è quello di Inzaghi; promesso sposo della Salernitana, viene richiamato da Lotito dopo il mancato approdo di Bielsa in casa Lazio e ne diventa nel giro di due stagioni il giusto condottiero nonché uno dei migliori in Italia grazie ad aspetti che lo contraddistinguono come la bravura,l’audacia ma anche per un po’ di fortuna.
Infine come suggerimento non posso che consigliare ad ogni allenatore di analizzare individualmente il percorso di ogni calciatore in rosa, facendogli capire che l’importante è il gruppo e non il singolo, ma soprattutto mettere in chiaro che calciatori si diventa dopo tre quattro stagioni ad alto livello e non dopo dieci partite, così da non bruciarne anticipatamente i talento.
Alla fine di tutto comunque le esperienze che accumuli negli anni saranno sempre importanti e torneranno utili anche per affrontare in maniera diversa la vita.”

 

 

 

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Calcio Internazionale

ESCLUSIVA – Andrea Compagno, dalla chiamata in Nazionale di Mancini all’avventura in Cina

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Andrea Compagno

Andrea Compagno si è da poco trasferito in Cina, al Tianjin Tiger Football Club, lasciando lo Steaua Bucarest dopo 1 anno e mezzo di gol e grandi soddisfazioni personali. Compagno è nativo di Palermo, nel quale gioca con le giovanili della squadra della città prima di trasferirsi al Catania. Inizia dunque il suo girovagare per l’Italia, sempre giocando nei vari gironi della Serie D, ma senza mai incidere veramente. La sliding doors della sua carriera porta il nome di San Marino, dove va a giocare accasandosi al Tre Fiori.

All’ombra del Titano Compagno vince campionato e coppa, venendo eletto nella stagione 2018/2019 miglior giocatore straniero e capocannoniere del campionato con 22 gol. Trova anche il tempo di segnare il suo primo gol internazionale durante i preliminari di Europa League. Tutto ciò gli vale la chiamata del Craiova, nella Serie B romena, che vince al primo tentativo. L’impatto in SuperLiga è ottimo, tanto da convincere lo Steaua Bucarest (oggi FCSB) a comprarlo per 1.5 milioni di euro, più una clausola del 10% sulla futura rivendita. Nel 2022 è il miglior marcatore italiano nei massimi campionati europei, con Mancini, allora CT della Nazionale, che confida ai media di seguirlo.

La chiamata del tecnico arriva, con la dirigenza dello Steaua Bucarest che riceve la notifica dell’inserimento del loro attaccante nella lista dei pre-convocati di marzo 2023. Andrea Compagno vive il momento più alto della sua carriera, ma inspiegabilmente, all’alba della corrente stagione, arriva la rottura con la società. Il vulcanico presidente dello Steaua, George Becali, cambia improvvisamente opinione su Compagno. Tante le parole dette e riportate dai giornali romeni sulla trattativa che lo ha portato in Cina, ma in esclusiva per l’Italia, Compagno ha spiegato a noi di Numero Diez come sono andate realmente le cose, ripercorrendo questi mesi così difficili per lui. Inevitabile porre uno sguardo su quello che è stato il suo passato, sulle tante fatiche fatte per arrivare dove è oggi, ma anche sul suo futuro, in un altro continente e con la solita voglia di migliorarsi giorno dopo giorno.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – LA SERIE D E L’ALL IN CON SAN MARINO

In Italia hai giocato in Serie D, spostandoti dal Sud al Nord sin da molto giovane, con contratti che specialmente all’inizio ti obbligavano ad andare a fare la spesa con la calcolatrice. Che consiglio ti senti di dare a quei ragazzi che stanno vivendo oggi quel tuo momento?

Quello è stato un periodo bello e brutto allo stesso tempo. Lì vedi più passione di quella che trovi a livelli più alti. Andando avanti nella mia carriera ho visto molti giocatori con la pancia piena, che mi hanno fatto pensare a quanti miei vecchi compagni di squadra avrebbero pagato per essere al loro posto. Quello che a me ha salvato è stato vivere nel mio sogno, nella incondizionata fiducia di potercela fare. Vivevo, mi allenavo e giocavo come se fossi in Serie A. Neanche quando prendevo 400 euro al mese la mia testa è andata a cercare altro, un qualcosa di più sicuro. Fondamentale poi è stata la perenne voglia di migliorarmi. Ce l’ho ancora adesso e penso che ce l’avrò fino all’ultimo giorno della mia vita“.

Lo snodo cruciale della tua carriera è stato scegliere di andare a giocare a San Marino. Nonostante non fosse una lega di livello, era un campionato che ti permetteva di giocarti le coppe europee, cosa che nel CV di un calciatore fa la differenza.

Sono coincise due cose. La risoluzione di un problema alle ginocchia in primis, una condropatia rotulea, grazie a un medico di Palermo che ha capito quale fosse il problema. Fino a quel momento io mi ero abituato all’idea di dover giocare a calcio con il dolore. E poi essendo a San Marino mi stavo giocando un trofeo e l’accesso ai preliminari delle coppe europee, cosa che mi galvanizzava. Ho fatto molto bene, trovando anche il gol in Europa e riuscendo ad aprirmi le porte per l’estero“.

Dopo tutto il tuo percorso, dopo tutte le fatiche che hai dovuto affrontare, cosa ha voluto dire per te essere nella lista dei convocati della Nazionale campione d’Europa?  

Ancora adesso mi vengono i brividi a pensarci. Era un buon momento della stagione con lo Steaua, eravamo in una buona posizione in classifica e a coronamento del momento arriva la chiamata. Mi cercavano tutti, ma a me non piace stare sotto i riflettori, volevo essere concentrato sul campo e sulla squadra. Sono orgoglioso se ripenso a ciò che ho fatto e ciò che ho ottenuto, per me era impensabile. L’unico rimpianto è stato poi che la convocazione in sé non si è concretizzata, per cui non ho mai varcato i cancelli di Coverciano. Farlo penso che avrebbe donato a qualche direttore di squadre di Serie A un pizzico di coraggio in più sullo scommettere su di me la scorsa estate. Rimane però tutto così bello e magnifico che per me è impossibile dargli un’accezione negativa“.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – L’ESCLUSIONE SENZA PREAVVISO ALLO STEAUA

Il tuo trasferimento dallo Steaua Bucarest ha molto a che fare con i rapporti compromessi con il presidente. La sua opinione su di te quando cambia e perché?

Dopo la stagione dei 21 gol, per cui per me era inimmaginabile in quel momento un cambio di opinione sul mio conto. Inoltre aveva deciso di giocare con il falso 9. Un attaccante con le mie caratteristiche non era più quello che voleva, secondo lui non ero neanche da Steaua Bucarest. Ha fatto si che giocassero punte centrali dei calciatori non abituati a quel ruolo pur di non mettere me. Sono stati 6 mesi d’inferno da questo punto di vista, ma i tifosi mi hanno sempre dimostrato il loro affetto. Mi dispiace per come si è chiusa, se proprio avessi dovuto lasciare lo Steaua, l’ideale sarebbe stato farlo d’estate. Dopo i tanti gol e la chiamata di Mancini, sarebbe stato perfetto andare in crescendo, aumentando l’importanza del campionato“.

C’è stata una concreta opportunità durante quel periodo di fare questo salto di qualità?

Il mio obiettivo era quello di andare in un campionato che fosse più competitivo agli occhi della Serie A, che rimane il mio sogno. Quello olandese o quello belga sarebbero stati perfetti. Un’offerta come quella che desideravo era anche arrivata, dall’Heerenveen in particolare. Offrirono 1.5 milioni, ma il presidente rilanciò a 2. In quel frangente non voleva cedermi, l’obiettivo era entrare nei gironi della Conference League. Nel momento in cui non ci riuscimmo, si convisse del fatto che in campionato avrebbe voluto quel famoso falso 9. Tutto questo però è accaduto poco dopo aver rifiutato l’offerta dell’Heerenveen. Erano arrivate anche proposte dall’Italia, dalla Serie B, ma sentivo che non fosse la tappa ideale per il mio percorso“.

E come mai se il tuo obiettivo è giocare un giorno in Serie A, hai deciso di rifiutare la cadetteria? Per certi versi ti avrebbe avvicinato al suo raggiungimento. 

Se fossi sceso in una lega di secondo livello, avrei poi avuto problemi se un un giorno avessi scelto di tornare all’estero. La Serie B è un campionato di assoluta importanza, con molta più qualità di quella che ne è la sua considerazione in altri paesi, ma fuori dall’Italia si concentrano su altro. Prima di te guardano altri 100 mila giocatori che giocano in campionati di serie superiori, anche se di livello inferiore alla B. Stare all’estero mi ha dato tanto, non voglio perderlo. Oltre quelle c’erano state offerte dal Kazakistan e dall’Ungheria, ma non avrei alzato il livello rispetto la Romania come volevo“.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – LA VERITÀ SULLA TRATTATIVA CON IL KONYASPOR

I giornali romeni hanno riportato anche dell’offerta del Konyaspor, in Turchia, che però avresti rifiutato nonostante saresti stato in un campionato con diversi ponti per la Serie A. 

Proprio per tutto il discorso che abbiamo fatto finora sul prestigio del campionato, io do subito la mia disponibilità quando vengo a sapere di quest’offerta da 150 mila euro che avevano fatto al club. Era una trattativa ben avviata, ma sono mancate le condizioni per chiuderla“.

È stata fatta uscire la notizia per la quale l’offerta del Konyaspor non fosse di 150 mila euro, ma di circa mezzo milione, e che tu avessi rifiutato la destinazione preferendo lo stipendio cinese. 

Tutte cavolate, sia le cifre sia il fatto che l’offerta del Konyaspor fosse arrivata insieme a quella cinese. Si era semplicemente inserita una persona che per puro interesse personale prometteva al presidente di fargli arrivare un’offerta più alta dalla Turchia, ma non ce ne era più nessuna in realtà. In Cina stava per arrivare il capodanno cinese, e mi avrebbero dovuto tesserare per forza prima di questa scadenza. Per colpa di questo contrattempo stavo rischiando di non ultimare in tempo i dettagli con il Tianjin“.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – LA CINA COME NUOVA TERRA DA CONQUISTARE

Non ti ha spaventato la fuga dei grandi nomi che c’è stata negli ultimi anni dal campionato cinese nel momento in cui lo hai scelto? 

Non posso esserne spaventato. Quelli erano giocatori che percepivano stipendi molto lontani dalla mia situazione. È un’opportunità importante per me, ci sono solo 5 posti per gli stranieri per squadra, e le speranze che ripongono in questi sono alte. Per questo è difficile vedere dei contratti lunghi, ma anche solo entrare nel campionato è complicato“.

Cosa ti ha sorpreso in questi primi mesi lì?

Il livello degli stranieri è molto alto, ma anche tra i cinesi vedo buone individualità. Certo, le mie sono solo prime impressioni, sono appena arrivato, ma è chiaro che loro stiano investendo tanto. Hanno degli stadi enormi e all’avanguardia, nella città dove sono io ce n’è uno da 30 mila posti e un altro da 60 mila. Non hanno però la cultura del centro d’allenamento come casa base, noi ci alleniamo direttamente allo stadio per esempio. È diverso da quello a cui ero abituato. Quello che certamente dimostrano è tanto entusiasmo e tanta organizzazione, che si riflette anche in allenamento. Prepariamo ogni situazione, calci piazzati, rimesse laterali… sto lavorando sulla tattica molto più qui che in passato“.

La Cina porta 4 squadre alla Champions League asiatica, che oltre a essere un’altra competizione internazionale a cui potresti prendere parte, ti potrebbe far vivere delle esperienze con giocatori incredibili. Quanto speri di ritrovarti a giocare il prossimo anno con personaggi del calibro di CR7?

Se non è lui ce ne sono tanti altri. Qui c’è un entusiasmo incredibile anche solo per il campionato, non oso immaginare cosa vorrebbe dire fare la Champions. Sono sincero, come ho fatto appena arrivato in Romania, me la voglio vivere giorno per giorno. Ragiono partita dopo partita con la volontà di farmi apprezza qua come fatto altrove“.

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ESCLUSIVA – I segreti della match analysis e dell’Italia U19 con Francesco Donzella

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Italia

ESCLUSIVA ITALIA U19 DONZELLA – Il periodo d’oro dell’Italia U19 continua. Dopo la vittoria dell’Europeo di categoria dello scorso luglio, gli Azzurrini puntano a difendere il titolo e rivivere le stesse emozioni di pochi mesi fa. Durante questa pausa la squadra di Corradi ha trovato due vittorie contro Scozia e Repubblica Ceca, grazie a due reti di Simone Pafundi e alle marcature di Zeroli, Romano e Lipani. Successi che hanno lanciato il gruppo fino al primo posto, momentaneo, nel girone. Domani, contro la Georgia, basterà un pareggio per staccare il pass per l’Irlanda del Nord.

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Francesco Donzella, match analyst dell’Italia U19 dall’agosto 2022. Con gli Azzurrini ha vissuto il trionfo di luglio, conquistando un torneo giovanile che in Italia mancava da 20 anni. Da quell’1-0 al Portogallo, firmato da Kayode, oggi in pianta stabile in forza alla Fiorentina, sono cambiate alcune cose. Il CT Alberto Bollini ha assunto la guida dell’U20, con Bernardo Corradi che è subentrato e ha raccolto il comando dell’U19. Adesso manca l’ultimo passo per raggiungere la qualificazione all’Europeo che, potenzialmente, può valere anche la qualificazione al Mondiale U20. Di seguito l’intervista completa.

ESCLUSIVA – I SEGRETI DELLA MATCH ANALYSIS CON FRANCESCO DONZELLA

Come ti sei avvicinato al mondo della match analysis?

Sono nato vivendo e giocando a calcio. Mi è sempre interessato il lato tecnico-tattico delle partite. Come percorso di studi ho fatto l’università e mi sono laureato in Editoria Digitale. Nel corso di questo percorso avevo un po’ di dubbi su cosa fare nel futuro. Così ho cominciato con le giovanili del Livorno, la squadra della mia città. Poi quando è uscito il bando ho visto che non era necessario il patentino UEFA B e ho provato. Eravamo tanti, circa 300 persone, di cui passavano solo i primi 40. Per fortuna è andata bene. È una porta che si è aperta inaspettatamente, da lì ho seguito il corso e ho capito che potevo provare a fare questo lavoro.

Cosa significa lavorare come match analyst per la Nazionale, visti in tempi molto brevi e intervalli di tempo decisamente ampi?

È molto diverso rispetto al lavoro nel club, visto che non si ha una partita di settimana in settimana. La difficoltà è nell’essersi sempre pronti: lavorare anche da casa, seguire sempre i giocatori e valutare tutto ciò che accade durante i campionati. Ovviamente si cerca di preparare la gara il più possibile, in modo da avere già tutto il lavoro pronto per quando si arriva in raduno. In questo caso, per tutte e tre le avversarie da affrontare. Il lavoro da casa è anche molto di contatto con il resto dello staff, anziché solo sull’avversario, in modo da avere dei report aggiornati su tutti i giocatori. 

ESCLUSIVA – ALLA SCOPERTA DELL’ITALIA U19 CON FRANCESCO DONZELLA

Ora il momento indelebile: la vittoria dell’Europeo U19. Che avventura è stata? Vi aspettavate di arrivare fino alla vittoria?

L’Italia non vinceva un Europeo giovanile da vent’anni, quindi sicuramente non era preventivata. È stata una bella vittoria, meritata per tutto il percorso fatto in questi anni dalle Nazionali giovanili. Non a caso erano arrivati tanti argenti. È stata una vittoria sicuramente sofferta, visto che al primo girone di qualificazione siamo passati come migliore terza, dopo una sfortunata partita contro l’Estonia e due gare con Bosnia e Polonia che hanno rimesso in piedi il tutto. È stato un turno molto complicato, non a caso tutte e tre le partite si sono decise al novantesimo. Così siamo arrivati al turno élite, quello che stiamo facendo anche adesso, dove passa solo una squadra. In quel girone avevamo Germania, Belgio e Slovenia, quindi un turno decisamente tosto. Siamo riusciti a passare, escludendo per il secondo anno di fila Germania e Belgio, grazie a un gruppo che si è consolidato nei vari raduni. All’Europeo il mister Bollini diceva sempre di avere parecchio da perdere, perché avevamo le nostre carte da poterci giocare. Prima il girone con Polonia e Portogallo, poi semifinale con la Spagna e finale ancora col Portogallo. Due partite molto difficili, contro gli avversari più forti incontrati. Siamo riusciti a compiere una bella impresa.

Com’è stato lavorare con un CT come Alberto Bollini, oggi guida della Nazionale U20?

Con il mister ci ho lavorato per due anni. È molto bravo sia nel lavoro giornaliero sia in quello da casa, come tutti i tecnici. Il rapporto si è cementato nel corso del tempo, ci siamo conosciuti e abbiamo reso il lavoro sempre più automatico e di routine. Tutt’ora ci vediamo e ci sentiamo quando ci sono i raduni delle nazionali giovanili. Ci seguiamo con piacere.

E con il neo CT Corradi?

Ogni mister ha le sue caratteristiche. Nel nostro lavoro serve recepire le richieste di ognuno e capire cos’è che interessa maggiormente sia da mostrare sia da tenere come riferimento. C’è sempre bisogno di interiorizzare nuovi concetti che aumentano il nostro bagaglio. Per questo ogni esperienza è bella e positiva.

Cosa significa lavorare con un ragazzo talentuoso come Simone Pafundi, che ha disegnato calcio in queste due partite e ha già lasciato il segno in Svizzera. Cosa possiamo aspettarci dal suo futuro?

Ha fatto due ottime partite, andando a segno entrambe in entrambe le occasioni. È sicuramente un giocatore importante per noi, come anche altri che stanno trovando spazio in prima squadra. Per le sue caratteristiche gli viene richiesto di inventare e di portarci qualcosa in più in avanti. Lavorare con un gruppo come questo è sempre bello, perché sono tutti i migliori che possiamo avere in questo momento.

Che emozione è vedere esordire in Serie A ragazzi con cui lavori già da tempo, ad esempio Kayode, Zeroli e Pisilli, a segno anche in Europa League?

Sicuramente è molto bello, sono tutti ragazzi che conosciamo bene grazie ai vari raduni. Con molti si ha un rapporto anche stretto, grazie anche allo staff che li consiglia. Quando poi li vedi arrivare all’esordio con la prima squadra, su grandi palcoscenici, non si può che essere contenti per loro. È il loro sogno. Mi fa sempre molto piacere con tutti loro, sia di quest’anno che dell’anno scorso.

Secondo te, c’è qualche giocatore che ancora non abbiamo visto a pieno che secondo te può salire alla ribalta della Nazionale e dell’Italia in generale?

Spesso ci sono giocatori che fanno vedere tanto in certi momenti dell’anno, oppure altri che esplodono più facilmente in estate. Altri hanno i loro momenti di crescita, per cui magari per i primi mesi non vengono convocati e poi in seguito diventano inamovibili. Se ci fosse un nome sicuro probabilmente sarebbe qui con noi. Si spera sempre di avere ondate nuove che ci diano qualcosa e ci migliorino.

Per chiudere: sono arrivate due vittorie contro Scozia e Repubblica Ceca. Domani appuntamento con la Georgia, e poi? Cosa vi aspetta in futuro?

L’obiettivo è arrivare più avanti possibile, come sempre. Basta un punto, ma l’obiettivo è sempre la vittoria, anche per un fattore di crescita del gruppo. Con questo risultato arriveremmo all’Europeo tra le migliori otto: 7 qualificate come prime dei loro gironi più l’Irlanda del Nord come paese ospitante. È un bellissimo torneo che si svolge d’estate, che quest’anno permette anche di qualificarsi per il Mondiale U20. L’anno scorso abbiamo visto come sono andati bene i nostri ragazzi arrivando secondi (contro l’Uruguay, ndr). Tra queste otto, le migliori cinque accedono al Mondiale: le quattro semifinaliste, più una quinta decisa tramite uno spareggio tra le migliori terze. Sarebbe molto bello riuscire a partecipare ad un Mondiale, la speranza è quella. Serve però fare un gradino alla volta: il prossimo è la partita contro la Georgia, che è fondamentale per mettere al sicuro una qualificazione che meritiamo. Manca l’ultimo passo

Fonte immagine di copertina: profilo Instagram @francescodonzella (@mattbrancaleone)

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ESCLUSIVA – Cesare Prandelli: “I miei valori nel calcio e le finali di Coppa dei Campioni con la Juventus”

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Cesare Prandelli intervistato da Numero Diez.

Abbiamo intervistato in esclusiva Cesare Prandelli, ormai ex allenatore di Serie A e della Nazionale italiana ma figura di riferimento per il calcio italiano degli anni 2000. Si è aperto con noi partendo dalla sua carriera da calciatore per arrivare poi alla parte della sua vita calcistica che l’ha visto in panchina guidare soprattutto la Fiorentina, che sotto la sua gestione ha vissuto alcuni tra i suoi momenti più splendenti.

ESCLUSIVA PRANDELLI: I SUOI VALORI

Per cominciare questa chiacchierata con te vorrei partire da un concetto più che da una domanda. Preparando quest’intervista, studiando i vari passaggi della tua carriera prima da giocatore e soprattutto da allenatore, il comun denominatore credo che possa essere la parola dignità. È un concetto che ho ritrovato spesso, e se ho interpretato bene è uno dei tuoi valori fondanti. Sei d’accordo?

La dignità ha tanti aspetti. Nasce da una famiglia e da dei genitori che ti insegnano determinati valori e che ti crescono in un certo modo, per cui non ho mai fatto fatica quando c’era da fare una scelta nel seguire quei valori. Chiaramente non possono essere condivisi da tutti, ma l’importante per me è stato seguirli ed essere sempre veri con sé stessi“.

La parola dignità si lega al concetto di valori. Il calcio, ma la società per esteso, in cui sei cresciuto tu era decisamente diverso da quello dei giorni attuali. E come hai detto al momento del tuo ritiro, probabilmente non ti riconosci più proprio nel calcio attuale e nei valori che ci sono adesso. Quali sono le più grosse differenze che hai notato e che ti hanno portato ad allontanarti dal campo?

Più che per i valori che sono cambiati, ho deciso di smettere perché non ero più tranquillo e non ero più sereno. Magari farò qualcosa sempre nel mondo del calcio ma la parentesi in panchina era finita, non ho voluto trovare degli artifici per continuare e avere fama o guadagni, volevo star bene ed essere sereno e nel momento in cui ho deciso di smettere non lo ero“.

ESCLUSIVA PRANDELLI: LA JUVENTUS DA GIOCATORE

Alla Juventus hai condiviso lo spogliatoio con delle figure storiche del calcio italiano: Tardelli, Scirea, Platini, Cabrini, Paolo Rossi, Zoff e potremmo andare avanti ancora per molto. Com’era stare in quella Juve?

La mia Juventus era praticamente quella dei Campioni del Mondo ’82 più Brady, Platini, Boniek eccetera. Stare lì era normale, non ti facevano percepire la differenza tra campioni e giocatori normali. Anche per una questione numerica, perché le rose erano di 15/16 giocatori, non di 30 come oggi, quindi era già difficile rientrare in quei 15/16 di una grande squadra. Si viveva il quotidiano come se fossimo su un campo di periferia, ma l’aspetto fondamentale era che dal punto di vista umano c’era un rapporto straordinario. Grandi uomini prima di grandi giocatori, logicamente non si poteva andare d’accordo con tutti quanti ma l’unica cosa che contava era mettersi la stessa maglia e lottare insieme.

Quello spogliatoio era composto da persone con grande carattere e personalità, perché erano persone cresciute da sole, che si erano costruite senza figure intorno a differenza di oggi, con i ragazzi che crescono accompagnati da figure mature che possono non dico influenzare ma far riflettere sulle scelte. Una volta si decideva in autonomia, e fin da piccoli dovevi avere una forte personalità“.

A quel periodo della storia bianconera sono legati alcuni ricordi agrodolci diciamo. La finale di Champions persa contro l’Amburgo dell’83 e quella vinta contro il Liverpool a Bruxelles due anni dopo, di cui si ricordano a pari merito la vittoria del trofeo grazie al rigore di Platini e purtroppo le 39 vittime dell’Heysel. Ci racconti le tue finali di Coppa?

La finale di Atene sembrava una vittoria facile, quella Juventus era stata la squadra più forte d’Europa, c’erano 70.000 juventini venuti per festeggiare ma nel calcio è così, basta un gol preso e siamo stati condizionati per tutta la partita e non siamo riusciti a riprenderla. La cosa che ci ha lasciato con l’amaro in bocca è che la volevamo talmente tanto, che quando abbiamo visto l’Amburgo mettere la Coppa su un sedile qualsiasi e non considerarla ci ha fatto rabbia, noi l’avremmo abbracciata da morire.

L’altra finale è associata ad un ricordo atroce, non la considero nemmeno una coppa vinta. Siamo stati costretti a giocare, segno che la follia era arrivata anche nel calcio. Noi avevamo qualche sensazione, perché nei giorni prima della partita quando ci allenavamo e capitava che qualche pallone finisse fuori dal campo, quando andavamo a riprenderlo vedevamo dei calcinacci, sassi, qualcosa che non era come doveva essere all’interno dello stadio. Non era una struttura adatta“.

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ESCLUSIVE

ESCLUSIVA – Cesare Prandelli: “La mia Fiorentina: la Champions, Ribery e Vlahovic”

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Cesare Prandelli, ex allenatore di Fiorentina e Nazionale, in esclusiva a Numero Diez.

Abbiamo intervistato in esclusiva Cesare Prandelli, ormai ex allenatore di Serie A e della Nazionale italiana ma figura di riferimento per il calcio italiano degli anni 2000. Si è aperto con noi partendo dalla sua carriera da calciatore per arrivare poi alla parte della sua vita calcistica che l’ha visto in panchina guidare soprattutto la Fiorentina, che sotto la sua gestione ha vissuto alcuni tra i suoi momenti più splendenti.

ESCLUSIVA PRANDELLI: LA MIA FIORENTINA

Facendo un balzo in avanti nella tua carriera arriviamo alla tappa forse a cui sei più affezionato: quella di Firenze. Cinque anni alla Fiorentina, che partono subito bene perché arriva un quarto posto, ma poi… (riferimento alla penalizzazione per calciopoli, ndr)

Mi ricordo benissimo, prima eravamo stati condannati alla Serie B e poi siamo stati riammessi alla Serie A con 19 punti di penalizzazione. Ci siamo ritrovati nel ritiro a Folgaria, ed eravamo storditi. Lì in quel momento ho sentito il dovere di prendere in mano la situazione, di dare sicurezza e ho detto “a prescindere che sia Serie A, Serie B, punti in meno o no io rimango qui”. Ricordo che abbiamo fatto la riunione con i giocatori e abbiamo detto che chi si sentiva libero di andare poteva trasferirsi, perché capivamo che passare dalla Champions a un -19, nella testa di tanti poteva subentrare il pensiero di lasciare. Ma devo dire che nessuno ha chiesto di andare via.

Quando i calciatori si sono riuniti tra loro e mi hanno confermato che nessuno sarebbe andato via, ho pensato che ce l’avremmo fatta. Perché al di là dell’aspetto tecnico, quello che fa la differenza è l’aspetto tecnico. Quando il gruppo condivide le scelte e difficoltà, è tutto più facile. Lì è partita forse la stagione più bella e più importante“.

Parlando con alcuni tuoi collaboratori di quel periodo a Firenze, ci hanno raccontato che lo spogliatoio era diviso in due: da una parte i giocatori arrabbiati e dall’altra i giocatori delusi. Ci racconti questa dinamica e il tuo ruolo nel dare nuove motivazioni a tutto l’ambiente?

Nelle prime due-tre partite della stagione qualcosa non andava e non ci esprimevamo bene, infatti ci fu qualche contestazione. Non sapevamo come gestirla perché una situazione del genere non è facile. Ci siamo affidati a figure specializzate, degli psicologi, che ci hanno dato una mano a capire quali fossero le priorità e gli argomenti con i quali gestire il tutto. Dopo qualche mese tutti guardavano la classifica ed eravamo sempre in basso. Poi abbiamo appeso nello spogliatoio la classifica “reale” e quella “virtuale”, e lì le cose hanno iniziato a cambiare, perchè eravamo sempre nei primi quattro. Quello ci ha dato una forza incredibile.

E poi devo dire che l’ambiente di Firenze è stato straordinario. Tutti i tifosi ci sono stati vicini e ci hanno dato una forza incredibile, non ci hanno mai fatto sentire soli, hanno capito le difficoltà e ci hanno mostrato un affetto incredibile ed è stato un anno difficile ma assolutamente da ricordare, e per un solo punto non siamo andati in Champions League“.

Partendo da lì, la tua Fiorentina è probabilmente la più bella dal 2000 in avanti, capace di imporsi per tanti anni consecutivi ai vertici del campionato e che ha regalato a Firenze al calcio italiano anche molte partite memorabili in Europa come nella stagione 2009-2010. Aiutaci a rivivere le partite con Liverpool e soprattutto Bayern Monaco, con il gol in fuorigioco di Klose e l’arbitro Øvrebø che di fatto vi hanno di fatto rubato la qualificazione ai quarti.

Oggi con il VAR non so se sarebbe stato convalidato quel gol (ride, ndr). Eravamo una squadra giovane con poca esperienza, abbiamo avuto il supporto fantastico del pubblico di Firenze come dicevo prima, andavi in giro e incontravi il figlio, il papà e il nonno che ti dicevano che dovevi vincere, ed è uno stimolo straordinario per chi fa calcio. Prima del Bayern Monaco, al ritorno, ricordo nel sottopassaggio Oddo che parlava con i suoi compagni e diceva “ve l’avevo detto, ora ci aspetta un inferno”. Dopo la partita anche con il loro allenatore ho parlato e ci ha fatto i complimenti per come avevamo giocato perché hanno passato il turno ma sono stati molto fortunati.

E sul Liverpool, in casa se non ricordo male ci mancava Gilardino e ci siamo inventati qualcosa lì davanti tipo falso nueve e questo ha contribuito a metterli parecchio in difficoltà“.

Quando poi sei tornato alla Fiorentina a fine 2020, uno dei giocatori di quella squadra era Ribery, che giocava con i tedeschi nella partita che abbiamo citato prima, e in conferenza stampa hai detto “non l’ho ancora incontrato ma gli chiederò cosa si ricorda di quel furto”. Cosa si ricordava?

Si è messo a ridere e ci siamo abbracciati. È stato uno dei giocatori più forti in Europa nell’uno contro uno, ha fatto la storia nel suo ruolo. Personalità e carattere impressionanti. Quando ci siamo visti non c’è stato niente da dire in realtà, ci siamo detti che da quel momento ci sarebbero state partite ancora più importanti di quella e che la nostra esperienza doveva servirci per uscire da un momento complicato“.

Che giocatore e che persona era Ribery?

Come dicevo, personalità incredibile. Voleva vincere sempre anche le partite in allenamento, secondo me ha sofferto la mancanza della famiglia e dei figli, spesso era in videochiamata con la moglie che era rimasta in Germania e capitava che mi inquadrasse e le dicevo “sei una santa per sopportarlo” scherzando. È stata un’esperienza molto bella anche dal punto di vista umano averlo a disposizione“.

Proseguendo sul sentiero del talento, nel corso dei tuoi anni Viola hai avuto la fortuna, che è anche onere, di allenare dei grandissimi. Toni, che al primo anno fa 31 gol, Pazzini, Mutu, Gilardino. Ma vorrei parlare con te di uno dei talenti più cristallini della Serie A di quegli anni, ovvero Stevan Jovetic. Sei stato una figura di riferimento per lui, tanto che hai sempre speso bellissime parole per lui anche quando è andato all’Inter e lo hai anche consigliato alla Lazio. Ci parli del vostro rapporto?

Sono stato fortunato per quanto riguarda gli attaccanti, guarda i nomi che hai fatto… Quando è arrivato si vedeva subito che era talentuosissimo. La sua umiltà è stata quella di mettersi a capire come potersi inserire in un meccanismo che già funzionava bene. La sua fortuna è stata quella di non essere né un 9 né un 10, è stato un giocatore di talento e sapeva essere sia un regista offensivo che un finalizzatore. La sua carriera è stata condizionata dagli infortuni, che sul percorso di un giocatore possono incidere molto. Grande personalità, abbiamo avuto un grandissimo rapporto, molto schietto e molto diretto, si è affidato ad un ambiente dove il mio staff e la società erano sempre molto presenti“.

Un altro grandissimo talento che hai aiutato a far conoscere al calcio italiano è Dusan Vlahovic, quando nessuno gli dava credito. Guardandolo oggi in cosa lo vedi migliorato e in cosa deve ancora migliorare sotto l’aspetto mentale? Perché dal punto di vista tecnico credo non si possa discutere, visto che è cresciuto anche in quella che era la sua difficoltà più grande come il gioco spalle alla porta.

Su Dusan potremmo veramente parlare tanto. È stata una mia scelta, e in quel momento mi sono sentito un po’ solo, ma fa parte del ruolo che avevo. In quel momento c’erano 4-5 attaccanti che aspiravano al posto da titolare, ma per me era lui, perché per come si allenava, per come si muoveva e per come ascoltava avevo scelto lui, gli andava data solo la serenità. La punta per come la vedo io deve fare il lavoro della punta, deve vivere l’area di rigore. 

Quando si vede un giocatore che ha determinate caratteristiche, bisogna fare in modo che si sviluppino quelle caratteristiche andando a dirgli più spesso cosa NON deve fare piuttosto che ingabbiare in dei moduli quello che già sa fare. Ed è quello che ho fatto con Dusan, gli ho detto che era lui il titolare e oltre a qualche accorgimento sui tempi dei movimenti da fare non dovevo insegnargli nulla, su come calciare o su altro perché quello già sapeva farlo benissimo. E lui ha risposto in maniera straordinaria ma non avevo dubbi. E secondo me può fare ancora molto meglio, non deve avere paura dell’avversario e dello scontro fisico. Ho avuto e ho ancora un rapporto straordinario con lui, gli voglio veramente bene“.

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