Esiste una Serie A in grado di far innamorare milioni di giovani e meno giovani; il campionato di Ronaldo e del suo strapotere fisico, degli scatti funambolici di Federico Chiesa e delle chiusure eleganti di Alessio Romagnoli. Tuttavia, il rovescio della medaglia è fatto, anche, di poche centinaia di stupidi che facendo leva sulla loro ignoranza tentano di rovinare lo sport più bello del mondo brandendo l’arma del razzismo. Le contromisure esistono, occorre valutarne l’efficacia, ma ci sono e vanno utilizzate in maniera radicale.
MARCO ANDRÉ ZORO
Siamo in Sicilia, nei primi anni del 2000, esattamente a Messina, la formazione Peloritana incanta da qualche anno con un bel gioco in grado di far cadere sotto la propria scure diverse squadre blasonate. L’artefice del tutto è mister Bortolo Mutti, il quale metterà in vetrina calciatori che si sono poi costruiti una carriera di tutto rispetto: Storari, Di Napoli e Sculli su tutti. La partita è Messina-Inter, sul finire della gara con i nerazzurri che conducevano il match, si palesa per la prima volta un fenomeno che da troppo tempo covava. Zoro, difensore centrale dei padroni di casa, stanco dei reiterati insulti a sfondo razzista, provenienti dal settore ospiti, afferra la palla sotto il braccio e minaccia di abbandonare il campo. Desisterà grazie ai suoi compagni e all’ ”imperatore ‘ Adriano. Ne verranno fuori fiumi di inchiostro e messaggi di solidarietà. Poco, troppo poco per un fenomeno che da quel momento si ripresenterà nel calcio italiano sempre più spesso.
KEVIN PRINCE BOATENG
Altro episodio spiacevole nel 2013, durante un Pro Patria-Milan, quella che sarebbe dovuta essere una semplice amichevole per deliziare il pubblico di Busto Arsizio, si trasforma in un’altra tappa del razzismo negli stadi italiani. L’attaccante ghanese, sul finire della prima fazione, scaglia con violenza la palla sotto la curva dei padroni di casa per poi abbandonare il campo. Questa volta il match verrà sospeso.
MARIO BALOTELLI
‘Super Mario è da sempre stato un mix tra genio e sregolatezza: è stato sia il trascinatore dell’Italia ad Euro2012, ma anche colui il quale gettò la maglia dell’Inter a terra dopo la semifinale di Champions League contro il Barcellona a San Siro. Un soggetto sui generis, che, oltre al campo, ha fatto parlare i giornali. Gli inizi in maglia nerazzurra sono quelli di un predestinato; tuttavia diverse volte è stato oggetto di offese a sfondo razzista, ma il carattere forte dell’ex numero nove della nazionale italiana gli ha permesso di affrontare la vicenda con la giusta sfrontatezza. Su tutti, in un post Chievo-Inter, durante le interviste Mario ricordò al pubblico clivense, stanco di essere beccato, quanto gli facesse schifo.
KOULIBALY
San Siro è stato teatro degli insulti al difensore del Napoli durante l’incontro tra Inter e la formazione Partenopea dello scorso 26 Dicembre. Questa volta i risvolti sono stati oltre che mediatici, anche pratici, con il match sospeso dal direttore di gara, successivo avviso ad opera dello speaker e con la curva nerazzurra chiusa per due turni di campionato. Un epilogo simile a quello che aveva visto protagonista lo stesso Koulibaly durante la partita Lazio-Napoli.
CAGLIARI
Lukaku, è solo l’ultimo, in termine di tempo ad essere stato vittima dell’ignoranza di pochi. L’ex Sant’Elia, oggi Sardegna Arena, nel corso degli anni si è reso protagonista di episodi così deprecabili. Dapprima toccò a Samuel Eto’o durante la stagione 2010/2011, con il camerunense ”vendicatosi” mettendo a segno una rete capolavoro. Stessa sorte di Moise Kean durante la scorsa stagione, con il baby fenomeno, oggi in forza all’Everton che esultò in tono polemico contro i soggetti che lo avevano beccato. Si tratta di pochi elementi che tentano di macchiare l’immagine di una società e di una città accogliente e bella come Cagliari; è stato lo stesso presidente Giulini a condannare fermamente la condotta di questi pseudo tifosi e a pretendere il loro allontanamento dallo stadio.
LE CONTROMISURE
Quello del razzismo negli stadi non è un fenomeno che si esaurisce a livello mediatico; la normativa in materia si è progressivamente inasprita. A disciplinare la questione, su tutti, è l’articolo 62 NOIF – Norme Organizzative Interne Federali – modificato di recente; la ratio della norma è quella di contrastare e chiarire le responsabilità nel caso in cui si verifichino fenomeno discriminatori negli stadi. Per discriminatori si intendono: striscioni, scritte, simboli, cori, grida ed ogni altra manifestazione espressiva di discriminazione per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica. La rilevazione di questi compete al delegato dell’ordine pubblico – delegato dal Ministero dell’Interno- e ai collaboratori della Procura FICG. Non è quindi una prerogativa del direttore di gara, il quale può coadiuvare questi organi e ha, però, l’onere di gestire le squadre in caso di sospensione della partita. Altro elemento chiave su cui focalizzarsi è la differenza tra sospensione (definitiva) e interruzione (temporanea) della partita, che spetta insindacabilmente al Responsabile dell’Ordine Pubblico. La gara può essere sospesa definitivamente qualora si protragga l’interruzione per più di quarantacinque minuti; in quel caso per assegnare la vittoria dell’incontro fa fede il referto arbitrale. Le società, ovviamente, non sono scevre dal comportamento dei propri sostenitori andando incontro a responsabilità oggettiva; inoltre il regolamento prevede multe, chiusura dei settori che si sono distinti per comportamenti discriminatori. La società non risulta responsabile , soltanto, nelle ipotesi in cui si sia immediatamente resa disponibile per fare cessare i comportamenti discriminatori, abbia previsto un apparato preventivo verso determinati fenomeni, abbia provveduto alla identificazione dei soggetti, abbia avuto un atteggiamento collaborativo con le forze dell’ordine.
RAZZISMO COMPARATO
Spesso quando si affrontano temi come le discriminazioni o la violenze negli stadi ci si rifa al famigerato ” modello inglese ”. Questo si affermò nel Regno Unito a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 per combattere il fenomeno Hooligans; artefice fu la ” Lady di Ferro ” Margaret Thatcher, da allora le misure anti violenza hanno progressivamente giovato agli appassionati della Premier e del calcio inglese. Il primo provvedimento normativo anti razzismo è datato 1986 e prende il nome di: Public Order Act; il testo consente di introdurre nell’ordinamento inglese delle fattispecie non generiche, ma specifiche legate al binomio razzismo-mondo del calcio. La legge prevede anche una serie di fatti che fungono da ‘‘ casus belli ” del fenomeno, consentendo al giudice, al termine di un regolare processo, di condannare l’imputato fino ad un massimo di sette anni di reclusione. È nevralgica la collaborazione delle forze dell’ordine, potendo queste arrestare un soggetto senza mandato qualora si abbia un sospetto fondato. Nel 1989 l’Inghilterra pensò di rafforzare l’apparato prevenzionistico introducendo due nuove figure: l’Autorità per l’appartenenza al calcio, che implementa il programma nazionale di adesione al calcio pensato per controllare l’ammissione degli spettatori alle partite, l’Autorità per le licenze calcistiche, al fine di concedere licenze per disciplinare la presenza di soggetti, in qualsiasi locale, per guardare partite di calcio. La licenza può essere revocata per situazioni giuridicamente rilevanti, tra queste compaiono i cori razzisti all’interno o all’esterno dei luoghi ove si svolge la manifestazione sportiva. Ad oggi, la principale differenza tra sistema italiano ed inglese verte attorno ai maggiori risvolti che la questione razzismo assume nell’ordinamento britannico; conseguenze rilevanti sia sotto il profilo sportivo, ma soprattutto giuridico. Il modello inglese, grazie a questa politica radicale, è considerato un esempio a livello internazionale per combattere e progressivamente debellare il fenomeno razzismo negli stadi.
Fonte Immagine Copertina: Fonte: profilo Instagram ufficiale di Romelu Lukaku