Evidente che sia la moda del momento. Sui social – Instagram su tutti – rimbalza la Ten Years Challenge, una sfida che vede, chiunque voglia, mettere una propria foto attuale, a fianco di una che sia di 10 anni fa. C’è chi ride, chi ricorda i bei tempi andati, o chi tutto sommato – beato lui – non nota tutte queste differenze tra il passato ed il presente.
Stavolta è il turno di una squadra che 10 anni fa si stava pian piano sgretolando, giunta al termine di un ciclo che li ha visti toccare più volte il cielo con un dito: se vogliamo parlare di nostalgia legata a questa “sfida social”, saranno proprio i tifosi del Milan a soffrire più di tutti, perchè il 2008-09 ha sancito la parola fine su uno dei gruppi più amati e gloriosi della storia rossonera.

TRA RITORNI, STELLE E ADDII
La stagione 08-09, come detto, ha segnato un solco nella storia rossonera: un’annata iniziata con gli addii al calcio dei due pendolini brasiliani, Serginho e Cafu, e dello storico terzo portiere Valerio Fiori (che ha collezionato titoli senza praticamente mai vedere il campo), e le cessioni dell’infortunato Ronaldo, di Alberto Gilardino e di un altro personaggio noto più per la sua pettinatura che per le sue prestazioni, ossia Ibrahim Ba.
Per la prima volta dopo sei stagioni, il Milan di Carlo Ancelotti non giocherà sui campi dove meglio si era trovato negli anni con il tecnico di Reggiolo: per la prima volta dopo sei anni, i rossoneri non calcheranno i terreni di gioco della Champions League, ma si avviano a partecipare – praticamente da favoriti – all’Europa League. Per tentare l’assalto anche alla seconda competizione continentale, la presidenza rossonera – ancora legata a Silvio Berlusconi – non si fa attendere, e ufficializza colpi che, qualche stagione prima, sarebbero stati da capogiro. Arrivano Zambrotta e Flamini, due giocatori pronti e utili da subito alla causa, rientrano poi dai vari prestiti Abbiati, Antonini e il vicecapocannoniere della stagione precedente Marco Borriello. Dall’Arsenal, oltre a Flamini, verrà acquistata anche la meteora svizzera Philippe Senderos, ma i colpi che illumineranno San Siro sono gli ultimi: a fine estate viene accolto per la seconda volta Andriy Shevchenko, di ritorno dopo la pessima avventura al Chelsea, mentre dal Barça viene acquistato quel fenomeno calcistico e giocoliere brasiliano di nome Ronaldinho.
La Milano rossonera è in visibilio prima di iniziare.

La rosa è rinforzata rispetto all’anno precedente, ma non sembra essere realmente rinnovata: può darsi che nell’immediato si possano ottenere risultati, ma sul lungo termine i tifosi rossoneri sono abbastanza titubanti.
Sta di fatto che i giocatori affidati a Carletto sono all’altezza: in porta non è male poter contare su un Abbiati molto cresciuto rispetto alle sue stagioni passate, e su un Dida che è sì in calo, ma rimane comunque un lusso per il ruolo di 12. Il neo arrivato Zambrotta e l’esperto Favalli sono i terzini destri, mentre a sinistra c’è l’usato sicuro Marek Jankulovski e il giovane in rampa di lancio Luca Antonini, mentre i centrali sono di alto livello: Alessandro Nesta è l’eleganza e la concretezza all’interno di un centrale – quasi, peccato per gli infortuni – perfetto, Kaladze è uno di quei giocatori di cui nessuno ha mai parlato, ma che nelle vittorie storiche rossonere ci sono sempre stati, Bonera è il talento mai sbocciato definitivamente, mentre insieme a Senderos, indietro nelle gerarchie c’è anche un giovane di nome Matteo Darmian, che di lì a poco sarebbe esploso con la maglia del Torino. Altro giovane che arriva dalla Fluminense a gennaio – ma utilizzabile dall’anno succesivo – è un brasiliano di nome Thiago Silva. Ne sentiremo parlare di lì a poco. Davanti a tutti loro, un nome e un cognome che non hanno bisogno di presentazioni: Paolo Maldini, il capitano.
A centrocampo, tolte le meteore quali Strasser, Viudez e Cardacio, i nomi sono quelli storici: Pirlo davanti alla difesa, Gattuso a fare legna e a rincorrere qualsiasi essere vivente presente in campo, Seedorf a scaricare missili verso la porta avversaria, e gli inserimenti con stacco da cestista del biondo Ambrosini. A loro viene aggiunto il già citato Flamini – che sarà utilissimo nel periodo in cui Gattuso mancherà a causa della rottura del crociato – e da gennaio due colpi d’esperienza, ma di notevole fattura: dal Real arriva l’esubero Emerson, mentre dai LA Galaxy si presenterà un certo David Beckham. Qualcuno pensava che fosse per una questione di marketing, qualcun’altro per il semplice legame Beckham-moda-Milano, ma lo spice boy ha dimostrato di poterci stare eccome in quella squadra.

Sulla trequarti abbiamo detto di Ronaldinho, al quale non c’è bisogno di fare alcuna presentazione. Il CV basta ed avanza. Accanto a lui Kakà: già, il numero 22 più amato nella Milano rossonera, che nel gennaio 2009 ha mosso per giornate intere il mercato. Tutti hanno nelle orecchie le note del coro “non si vende Kakà”, nate da una trattativa mossa dal Manchester City per strappare uno dei talenti migliori del calcio mondiale; 100 milioni al Milan, 15 annuali al ragazzo, e Galliani che già si sfrega le mani. Berlusconi però è un presidente vecchio stampo, di quelli che guardano alle emozioni prima che ai soldi (forse, disponendo di un patrimonio simile, molta gente in più guarderebbe ai sentimenti). Le telefonate nelle trasmissioni più amarcord dell’epoca, Silvio che ringrazia la grande persona che è Ricardo, la trattativa che salta e l’ennesima storia di mercato a lieto fine per i rossoneri.
Fino a giugno, quando poi Kakà andrà via per davvero, seppur ad una cifra inferiore e al Real Madrid. Non si vende Kakà, per ora.
In attacco c’è Sheva come cavallo di ritorno insieme a Borriello, il ragazzo pronto a riprendersi San Siro dopo il fruttuoso prestito al Genoa, ed accanto a loro l’eterno Pippo Inzaghi ed il gioiello più luminoso del reparto: Alexandre Pato, il ragazzino che l’anno precedente aveva irradiato il Meazza con i suoi colpi – sebbene appena 18enne – stava diventando grande, ed in molti se ne stavano accorgendo.

CHIAROSCURO
L’annata non parte bene, vista la doppia sconfitta contro il Bologna a San Siro (il gol di Valiani che tanti rossoneri ancora ricordano) e a Genova contro i rossoblu guidati da Diego Milito. In Europa League le cose non vanno come si sperava, infatti il Milan uscirà ai sedicesimi con la figuraccia del doppio pareggio contro il Werder Brema, e allo stesso modo andrà in Coppa Italia, con l’eliminazione inflitta dalla Lazio al primo turno. Una stagione fatta di alti e di bassi, come spesso accade alla fine di un ciclo. Sarà il derby vinto con il gol di Ronaldinho e la crescita esponenziale di Alexandre Pato a trascinare il Milan di Ancelotti verso una rincorsa che li porterà a qualificarsi di nuovo per la Champions League – unica nota positiva di quell’anno – arrivando al terzo posto davanti alla Fiorentina, posizione ufficializzata proprio nell’ultima partita stagionale vinta a Firenze.
Proprio questo ultimo match sarà ricordato storicamente: sarà l’ultima partita rispettivamente per Carlo Ancelotti in panchina – sostituito l’anno successivo da Leonardo – e per Paolo Maldini in campo. Bellissima la standing ovation riservatagli dal Franchi, un po’ meno i fischi di alcuni tifosi rossoneri nel suo giro di campo post Milan-Roma a San Siro, la sua ultima partita nella sua casa di sempre.

La figura sobria e capace di Leonardo fa ben sperare per il futuro, ma anche con personaggi di questa caratura, a comandare sono i risultati. E non è un caso che poi a sostituirlo dopo una sola stagione sarà quel Massimiliano Allegri che riporterà lo Scudetto – l’ultimo – a Milano e che mostrerà gli ultimi bagliori di una società che sta tentando in tutti i modi di ritornare agli antichi fasti.
Già, perchè dopo il triennio con l’allenatore livornese si sono viste tante figure, in panchina come in tribuna: nel 2014, a stagione in corso, diventa Clarence Seedorf il tecnico del Diavolo, e dopo di lui si susseguiranno una serie di allenatori che non riusciranno a lasciare il segno. Da Inzaghi a Mihajlovic, passando per Brocchi e Vincenzo Montella, l’ultimo allenatore dell’era Berlusconi e l’ultimo ad aver portato un titolo (la Supercoppa italiana del 2016-17). Dopo l’addio di Berlusconi, è storia recente l’acquisizione per mano del famigerato Yonghong Li, le campagne acquisti milionarie guidate da Fassone e Mirabelli, con quei soldi che non si sapeva così bene da dove venissero.
E arrivati i primi dubbi, le prime indagini e le prime adempienze, arriva anche un secondo ribaltone societario, soltanto dopo un anno: Paul Elliott, americano a capo del fondo di investimento al quale faceva riferimento Yonghong Li, subentrò al misterioso personaggio asiatico diventando proprietario del Milan, affidandosi a figure storiche della società (quali Leonardo e Maldini) e restituendo un assetto solido ad una società che pareva in mezzo ad una strada.
Era un Milan alla fine di un percorso, quello del 2008-09. Ma quel percorso fu talmente bello e glorioso, che anche una fine in chiaroscuro è stata tutto sommato accettata dalla tifoseria: parliamo di personaggi che hanno scalfito il cuore di tutti i tifosi del Diavolo, gente che rimarrà per sempre nella storia del Milan. Quel glorioso Milan che oggi sembra distante anni luce, ma invece è storia di 10 anni fa. Soltanto.