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The day after tomorrow: il giorno 0 per il calcio italiano

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The day after tomorrow: il giorno 0 per il calcio italiano

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Malagò

Il giorno dopo, si sa, è quello che fa più male. Bisogna probabilmente ripeterselo, perché non a tutti sembra vero: l’Italia è fuori dal Mondiale, non sarà fra le 32 di Russia 2018. E’ stato il giorno della rabbia, delle critiche ma non delle dimissioni, auspicate da molti. E’ stato, si spera, l’ultimo giorno per il vecchio sistema Calcio Italiano.

LOTTI E MALAGO’: TIRARSENE FUORI NON BASTA

I primi a prendere la parola, nella mattinata di ieri, sono stati i membri delle istituzioni. Giovanni Malagò, presidente del CONI, ha affermato che non ci sono le premesse per il commissariamento ma ha inviato un forte segnale dicendo che, fosse in Tavecchio, si sarebbe già dimesso. A rincarare la dose ci ha pensato il ministro dello sport Luca Lotti, che ha parlato di ripartire da zero e di essere coraggiosi. Parole troppo facili però, per quanto giuste, perché permettono ai vertici dello sport di tirarsi fuori da questa difficilissima situazione. La verità è che il problema del nostro calcio è sistemic0 e di conseguenza le responsabilità sono di tutti. Per questo, da oggi, anche CONI e ministero dovranno farsi un esame di coscienza per poi cominciare a collaborare in ottica futura.

INCOGNITA TAVECCHIO

Sarà il vertice FIGC di oggi a chiarire, forse, la situazione al termine di quella che è stata ridefinita la Caporetto del nostro calcio. Non si dimetterà probabilmente Giampiero Ventura, per una questione puramente economica, ma l’esperienza dell’CT si è già conclusa in maniera miserabile. Restano però dubbi sul più bersagliato dopo l’allenatore: Carlo Tavecchio. Dalle imbarazzanti gaffe su Optì Pobba alla strana diarchia con Lotito, il nativo di Ponte Lambro ha sbagliato tutto ed è simbolo di un sistema decrepito, alla disperata ricerca di una svolta. Sembra ovvia e scontata la via delle dimissioni ma sarebbe sbagliato non prendere in considerazione un eventuale colpo di scena, che sarebbe visto dai più come un patetico tentativo di rimanere attaccati alla poltrona. Siamo, per la prima volta nella storia, davanti alla necessità di ripartire da zero e la ripartenza deve iniziare da una cesura col passato.

GIORNO ZERO

Il calcio italiano deve ripartire, ma da cosa? Va senza dubbio confermata la tecnica degli stage, che permettono allo staff di valutare un gruppo più ampio di giocatori e di non focalizzarsi sui soliti nomi. Prendendo esempio dall’estero potrebbe avere senso puntare di più sulle nazionali giovanili, basate sullo stesso stile di gioco della prima squadra e magari in grado di riunirsi ancora più spesso nel corso della stagione. Sarà poi fondamentale tornare a investire sui settori giovanili dei club, per rendere i nostri giovani competitivi e permettergli di inserirsi gradualmente nel mondo dei grandi, magari con le famose squadre B. Un altro punto riguarda la necessità di inserire nel team di lavoro della FIGC nomi importanti, che sappiano trasmettere ai giocatori cosa vuol dire vestire la maglia della nazionale e buttarsi con passione nella sfida di ripensare il sistema. Roberto Baggio, Paolo Maldini o Fabio Cannavaro: paradossalmente, ma nemmeno troppo, ricominciare da chi ci ha reso grandi.

Il sistema deve essere cambiato, anche dalle piccole cose. I giocatori si sono, spesso, lamentati di un’incapacità della federazione nel gestire spazi, allenamenti e molte volte si sono ritrovati spaesati in un sistema che, in teoria, dovrebbe essere fra i migliori nel mondo.

Quindi via il vecchio e dentro il nuovo? Assolutamente si, la nuova guardia, però, dovrà partire da un sistema di competenza adeguata, da un lavoro e una preparazione che il passato non ha mai garantito. A partire dalle piccole cose, a partire da qualsiasi collaboratore. Rifondare è la parola giusta.

DELUSIONI E OCCASIONI

Fa male, e farà sempre più male con l’avvicinarsi della competizione, ma questa disfatta deve trasformarsi in energia per ripartire. Sarà necessario fare un bagno di umiltà e rendersi conto che le vittorie nascono dal basso, da un sistema che funziona e da un movimento consapevole della enorme forza che possiede ma determinato in ogni sfida, da quelle sul campo a quelle fuori. I quotidiani stranieri hanno gioito della nostra sconfitta ma dovrebbero piuttosto preoccuparsi, perché se davvero avremo imparato la lezione, fermarci in futuro sarà un’impresa. E allora facciamolo: ripartiamo tutti insieme, passo dopo passo, con l’azzurro nel cuore.

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Si ferma Vlahovic: costretto al cambio in Juventus-Napoli

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La Juve si allena davanti ai tifosi

Problemi per Dusan Vlahovic durante Juventus-Napoli, il serbo è stato sostituito al 70° minuto al suo posto Milik. Secondo quanto riportato da DAZN, potrebbe essere un falso allarme e solamente questione di crampi o indurimento del muscolo.

La Juventus è in vantaggio 1-0 grazie al gol di testa di Gatti, il terzo in stagione.

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Ancora problemi per Baldanzi: potrebbe saltare anche Empoli-Lecce

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Baldanzi

BALDANZI – Lunedì alle 18.30 ci sarà il calcio di inizio di Empoli-Lecce. Partita delicata in chiave salvezza, con due squadre che si trovano attualmente fuori dalle zone più calde ma a ridosso di quest’ultime. L’Empoli in primis, in quanto è solo a +1 rispetto il terzultimo posto con i suoi 11 punti. Lecce che invece respira di più con il suo 13esimo posto a 16 punti. I toscani quest’anno stanno giocando senza il totale contributo del suo talento più brillante. Stiamo parlando di Tommaso Baldanzi, che finora ha saltato 4 partite nelle prime 14 e spesso si è dovuto accontentare della panchina. Sempre la caviglia a dare fastidio al trequartista italiano, sia nel primo stop, sia in quello attuale.

L’EMPOLI SENZA BALDANZI – LA SITUAZIONE

Tra ottobre e novembre rimase fermo per una settimana, ora siamo già a un mese ai box. La distorsione subita a inizio dicembre potrebbe costargli anche la prossima sfida del Castellani. Secondo Tuttomercatoweb il numero 33 sta andando incontro alla possibilità  di non indossare una casacca da titolare, ma non solo. Per lui potrebbe esserci la non convocazione e quindi la non disponibilità per la quindicesima giornata. Questa sarebbe un’altra brutta notizia che incrementerebbe le note negative dell’inizio di stagione del giocatore dell’Under 21 dell’Italia.

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ESCLUSIVA – L’ex Milan e Inter Sapienza si racconta: “Ecco com’è nata la passione per la comunicazione”

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giuseppe-sapienza

Un viaggio emozionante, un momento di trasporto totale: sono queste le sensazioni che ci lasciano le parole, mai banali, rilasciate ai microfoni della nostra redazione da un colosso della comunicazione calcistica italiana, Giuseppe Sapienza.

Nasce tutto per amore, il sentimento che muove tutto. L’amore per il gioco del calcio e la passione per Diego Armando Maradona, il più grande Numero Diez, nato, come me, il 30 ottobre”.

Per raccontare questo amore, Sapienza sceglie la strada del giornalismo, partendo dai campi di periferia fino a raggiungere Milano.

È il 3 giugno del 1996 quando inizia uno stage di tre mesi all’Inter. I mesi diventeranno annisette per l’esattezza – e si riveleranno lunghi e formativi. Col passare del tempo, diventerà capo ufficio stampa dei nerazzurri e fonderà, insieme alla moglie del presidente Moratti e due ingegneri del Politecnico di Milano, il sito www.inter.it.

Quello stagista ha avuto “la fortuna, la grazia e le coincidenze” che gli hanno permesso di restare nel mondo del calcio e osservare tutti i cambiamenti degli ultimi 30 anni.

L’INTERVISTA ESCLUSIVA

Comunicazione: cosa è cambiato? Quanto è diventata importante all’interno del calcio?

“Bisogna fare una prima distinzione tra Paesi di classe A e di classe B.

  • Classe A (USA, UK, Francia, Spagna, Germania, ecc.): considerano la comunicazione come primo asset, strategico e fondamentale, extra-sportivo;
  • Classe B (Italia): ritengono la comunicazione importante quando la si fa, molto meno quando la si subisce. Non si investe né sui mezzi di contrasto per evitare di subire una pessima comunicazione, né sulle iniziative propositive.

 Ai nostri dirigenti piace comunicare ad personam, delegare pochissimo e affidarsi ancor meno a strutture aziendali che siano in grado di gestire le situazioni di crisi. Responsabilizzare le persone “sotto di noi è sempre stato uno degli impegni più importanti da prendere col club. Vedo figure alto-dirigenziali che accentrano sempre di più su di sé i poteri senza la voglia di delegarli. Secondo me, la delega resta uno dei primi strumenti, forse il migliore, per far crescere le altre figure e di conseguenza tutto il calcio italiano. Qualcosa si sta intravedendo grazie all’arrivo delle proprietà esterne ma anche di imprenditori illuminati italiani.

La comunicazione può spostare completamente gli equilibri e migliorare aspetti strategici, tra cui la vendita di calciatori. A parità di livello tecnico, un giocatore che comunica male ha un prezzo di mercato inferiore rispetto a chi possiede proprietà di comunicazione, tale da consentire al club, grazie ai diritti d’immagine, lo sviluppo di ricavi. In un mondo concentrato sui social, la comunicazione, pur essendo in continua evoluzione, non abbandona mai i pilastri della tradizione: l’esempio lampante è un’intervista old-style fatta a Paolo Maldini, in grado di generare un numero elevatissimo di commenti in Italia e nel mondo rossonero”.

Lei si è dovuto “ricreare” per poter stare a passo coi tempi?

“L’aggiornamento e lo stare al passo coi tempi risultano determinanti. Ognuno di noi non può avere una conoscenza a 360°, vi sono punti di forza e di debolezza. Ragion per cui, chiunque voglia occuparsi di comunicazione deve costruire una squadra che replichi il modello allenatore-squadra a livello di comunicazione. Occorre scegliere persone smart, che abbiano la tua stessa ‘solarità’, capacità di: relazionarsi, interagire, essere trasversali. Individui capaci di coniugare lo sviluppo delle relazioni interpersonali e umane, col club e il mondo esterno. Non dimentichiamoci che ogni centro sportivo ha un ‘recinto’ e la comunicazione deve lavorare ogni giorno per far sì che non esista. Senza ciò, si casca nell’errore di comunicazione, ergo il silenzio: subire senza dire.

A distanza di 27 anni, vi dico che le relazioni umane torneranno a essere le più importanti. Senza squadre di comunicazione non si potrà mai elevare il livello di comunicazione attuale”.

Inter e Milan nel suo passato. Che rapporto ha avuto con Moratti e il compianto Berlusconi?

“Lo stile dell’alta borghesia-aristocrazia imprenditoriale milanese non esiste più. Le famiglie Moratti e Berlusconi incarnavano perfettamente la milanesità che diventa imprenditoria su tutti i livelli: nazionali e internazionali.

Vi è una differenza profonda tra le due famiglie:

  • nell’Inter di Massimo Moratti si respirava l’importanza del grande club, ma vi era un’atmosfera familiare;
  • al Milan ho riscontrato una realtà basata su una formazione aziendale e piramidale. Tutti rispettavano i propri incarichi. L’impatto era di una perfetta organizzazione. Il giocatore non doveva quasi pensare a nulla ed era tutto ben coordinato da Adriano Galliani che resta, alla soglia degli ottant’anni, il miglior dirigente sportivo dell’intera area UEFA, non mi limito all’Italia. Un uomo marketing straordinario. Non a caso, il Milan è stato primo nel ranking europeo per quattro anni su cinque (2003-2008). Credo che la nuova società stia facendo delle buonissime cose, quantomeno dal punto di vista della comunicazione.

Può raccontarci un aneddoto che le è capitato nel corso della sua carriera?

“Ce ne sarebbero tanti. Il 3 gennaio 2013 giocammo un’amichevole a Busto Arsizio con la Pro Patria e improvvisamente si udirono ululati, fischi, espressioni a sfondo razzista nei confronti dei nostri calciatori di colore. Intorno al 20’, Boateng perde la pazienza e scaglia il pallone verso quel manipolo di tifosi che proferivano tali espressioni. Al che tutta la squadra decide, per solidarietà, di abbandonare il campo terminando anzitempo l’incontro. Da questo evento nasce un filone estremamente positivo.

Vi era una sola telecamera (Milan Channel) che produceva la partita in differita. Mi reco immediatamente dal cameraman dicendogli di non muoversi; telefono Galliani e gli spiego brevemente la situazione. Mi dice di operare nella massima attenzione e delicatezza. Capisco di avere in mano qualcosa di importante e delicato: gestisco la notizia facendo uscire le immagini sulla CNN (emittente televisiva statunitense all-news n. d. r.) che rilancia direttamente la notizia. Il messaggio rimbalza su tutte le agenzie: ‘il Milan è la prima squadra a effettuare una simbolica e forte presa di posizione sul tema del razzismo’. Il calciatore Boateng verrà successivamente invitato all’ONU per raccontare all’assemblea generale tale problema presente nel calcio. Il Milan viene così identificato come squadra dal forte richiamo antirazzista”.

È un po’ la potenza di una comunicazione sana che, grazie alla strumentalizzazione del calcio, trova modo di divenire veicolo di valori positivi e di princìpi etici

Esatto. Un episodio del genere, che poteva essere gestito col silenzio, con la notizia breve, è servito a lanciare un messaggio forte a livello mondiale. La comunicazione è riuscita a spostare completamente gli equilibri e a far diventare un avvenimento locale, molto profondo e sensibile, un episodio di caratura mondiale e far diventare Boateng e il Milan paladini dell’antirazzismo”.

Grandi comunicatori del mondo del calcio

“È cresciuta moltissimo l’importanza della comunicazione soggettiva. Ho fatto parte del Milan di Ancelotti stracolmo di fenomeni che comunicavano esclusivamente attraverso iniziative concordate con l’area comunicazione. I calciatori di dimensioni planetaria come Kakà e Ronaldinho avevano bisogno di appoggiarsi a noi. Devo dire cha la gestione del campione era abbastanza semplice, eccetto qualche volta. Non posso dimenticare un’attesa di nove ore fatta fare a un giornalista da Ronaldo il Fenomeno. Alla fine, si convinse poiché riuscimmo a trovare un escamotage. Con l’avvento dei social, i giocatori hanno compreso la loro importanza aziendale.

Ad esempio, David Beckham è sempre stato un comunicatore mostruoso per tutta una serie di ragioni che si sono create intorno a lui, anche a livello familiare. Essere usciti con una serie televisiva così seguita e impattante per tutti gli appassionati rappresenta un ulteriore successo. Tra l’altro, io appaio in quella serie. Dissi a Beckham: “Vieni con me, hai una fermata con la stampa, rispondi a tutte le domande che ti faranno i giornalisti”. Lui, senza fare una piega, rispose: “Assolutamente sì”. C’erano anche gli ‘assolutamente no’, a loro bisognava far comprendere che si trattasse della sua immagine, ma anche di quella del club.

Oggi i grandi comunicatori devono essere gli allenatori, perché il loro ruolo è cambiato con l’aggiunta di nuove figure professionali. Tutti i messaggi che lancia sono indirizzati alla squadra, al mondo e ai tifosi. Un aspetto che non bisogna dimenticare è che l’azienda calcio comunica a degli stakeholder particolari. Se non ottieni risultati sei soggetto a critiche, contestazioni, situazioni da prevedere, prevenire e gestire. Il club deve trasferire la propria linea comunicativa o editoriale sull’allenatore che poi, attraverso il lavoro fatto con la squadra e le varie aree comunicative, determina il flusso di comunicazione”.

Un suggerimento per chi vuole intraprendere questo percorso

“Abbiate intraprendenza, curiosità e apertura verso gli altri. Vi sono due categorie di persone: quelli che costruiscono ponti e quelli che alzano muri. Chi vuole lavorare nella comunicazione non può conoscere la parola ‘muro’, deve provare ad abbatterli in tutti i modi. Un ulteriore aspetto fondamentale è la cultura, ossia sapere cosa accade intorno a noi. Informarsi, essere multimediali, senza disconoscere la tradizione. Una somma di tante cose che afferiscono al termine curiosità. Se non hai curiosità non hai cultura, non viaggi. Se non viaggi non conosci, non migliori le lingue e non vedi le differenze. Le differenze invece vanno sostenute e non combattute”.

Il messaggio finale di Giuseppe Sapienza

Siate sempre numeri 10, un’ispirazione. Il numero 10 è fantasia, responsabilità e soprattutto squadra”.

 

Fonte immagine in evidenza: profilo Instagram Giuseppe Sapienza

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Flash News

Ultimatum Real Madrid a Mbappé: il francese è a un bivio

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PSG Mbappé

Come ogni telenovela degna del nome, anche quella tra il Real Madrid e Kylian Mbappé sembra non voler finire. Il francese ha continuato il suo limbo tra PSG e Blancos negli ultimi due anni ed ora gli spagnoli vogliono la risposta definitiva dal giocatore e dalla madre, agente dell’attaccante.

15 GENNAIO ULTIMA DATA DISPONIBILE

Secondo il noto quotidiano AS, Florentino Perez e i suoi collaboratori avrebbero comunicato a Kylian e a sua madre che vogliono una risposta definitiva entro il 15 gennaio. Il sogno delle Merengues sembrerebbe essere quello di portare il francese a Madrid a costo zero, ma non sarebbe escludere nemmeno uno sforzo importante dal punto di vista economico da parte di Florentino Perez. Il sogno di molti appassionati sarebbe quello di vedere Mbappé giocare con Bellingham: non dovrebbe mancare molto per scoprirlo. 

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