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Gli ultimi 41,9 secondi di Jazz-Bulls

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Gli ultimi 41,9 secondi di Jazz-Bulls

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Tom Hanks, nel film grazie al quale ha vinto il suo secondo Oscar come miglior attore protagonista, pronuncia su una panchina una frase divenuta a dir poco cult:

La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita.

Quattro anni dopo l’uscita nelle sale di “Forrest Gump“, gli Utah Jazz hanno appena plasmato uno di quelle piccole, morbide e dolci delizie: una goduria alla quale gli avversari, cinque ragazzoni in rosso, non possono far altro che assistere, un po’ come l’infermiera di Park Bench in quel dialogo privo di caratteri ordinari.

Il palcoscenico se lo sono preso i due attori protagonisti nel cast che, dal 1991, recita senza sosta al Delta Center di Salt Like City alla ricerca di una definitiva consacrazione sul red carpet cestistico americano. Vivono in Utah rispettivamente dal 1984 e dal 1985, quando vennero selezionati, rispettivamente, con la sedicesima e la tredicesima scelta assoluta: sono John e Karl e questa volta, forse, ce l’hanno fatta.

CIOCCOLATINO

Al latte, bianco o fondente: a voi la scelta, che in questo caso conta veramente poco. Quello che pesa significativamente è il possesso di vantaggio per i padroni di casa, che sono letteralmente trascinati all’estasi da una Rio de Janeiro in pieno Carnevale: manca la samba, ma i 19,911 presenti non lo sanno e ballano comunque.

Stockton, che, come di consueto, governa l’orchestra, serve Malone in post basso e taglia per posizionarsi alla mattonella preferita. Ron Harper segue ma non troppo, circumnavigando a metà nel pitturato; Pippen esita nel cambio, preferendo il raddoppio in aiuto a Rodman. Quando i Bulls sembrano aver elaborato una strategia difensiva, il Postino ha già recapitato la raccomandata a casa del numero 12, che non deve far altro (e dici poco) che avvolgere la retina: è 86-83.

Si iniziano ad intravedere i primi flash ancor prima della sfilata delle stelle: Stockton e Malone, finalmente, riusciranno a baciare l’oro, che sia una statuina ricevuta a Los Angeles o un trofeo da conquistare poche ore dopo a Chicago, in una gara 7 che si preannuncia spettacolare. In campo, però, c’è chi non si trova pienamente d’accordo con questa sceneggiatura; dovreste conoscerlo, ha il 23 e al secolo fa Michael Jeffrey Jordan.

Fonte immagine: profilo Twitter @chicagobulls

COUNTDOWN

Se riavvolgete il nastro nel filmato precedente, potete scorgerlo ad un paio di passi dalla linea da tre punti, pronto a chiudere in caso di scarico su Jeff Hornacek. Quando la conclusione del playmaker avversario ottiene il jackpot nella slot machine a 10 piedi dal parquet, si gira e fulmina Harper con uno sguardo da predatore, in quella gara 6 delle finali NBA che ha molto da condividere con l’ecosistema della savana.

Phil Jackson chiama time-out, perché fondamentalmente è l’unica cosa da fare: studiare uno stratagemma per accorciare il deficit. L’esito è scontato, no? Ora i Bulls entrano in campo e seguono alla lettera lo schema proposto dal coach. Se ci state ancora credendo, andate a leggere qualche postilla nel curriculum del 23 di cui sopra.

Pippen serve Jordan dalla rimessa. Mette palla a terra e punta Bryon Russell, uno che qualche tempo addietro, pochi mesi dopo il primo ritiro del giocatore dei Bulls, gli aveva detto:

Amico, perché hai smesso? Eh, perché hai smesso? Sapevi che ti avrei potuto marcare: dovevi smettere.

Se le ricordava quelle parole, tant’è che lo fa patire per l’intera durata delle finali dell’anno precedente e di quelle in corso. Il canestro che porta Chicago a -1 non fa eccezione: un paio di palleggi, esitazione e cambio di velocità per attaccare; i 206 centimetri di Antoine Carr vanno a chiudere, ma il percorso di quegli spicchi arancioni non può avere esito differente che la samba ballata dal pubblico, nella retina. 86-85.

Sembra iniziato un countdown destinato a plasmare l’entusiasmo dei presenti in un tragico epilogo; tragico per tutti, tranne che per Jordan & Co. Il bello deve ancora venire, ma sarebbe inutile e controproducente farvi indugiare ancora molto.

Il cronometro segna 37,1; sono in arrivo 31,9 secondi confezionati come la scatola di cioccolatini del buon Forrest. Non sai mai cosa possa capitare in una situazione simile, con il Delta Center che trascina letteralmente i padroni di casa verso un nuovo possesso di vantaggio; nessuno lo sa, tranne chi, quella sera, era particolarmente presente nei pensieri degli dei del basket.

SCALTREZZA, FIDUCIA, ONNIPOTENZA

Il primo dei tre elementi è tutto qui, in una decisione tanto azzardata ed audace quanto significativa. Nessuno si permetterebbe di stanziare attorno a Karl Malone in quel momento, specialmente dopo quello che era avvenuto pochi istanti prima; la tripla di Stockton, ricordate? Harper non aveva seguito il movimento del 12, che si è trovato libero al posto giusto, al momento giusto. Ecco, Jordan fa la stessa identica cosa; ciò che cambia è il fine, l’obiettivo.

Rodman è un ottimo difensore, ma Malone è particolarmente in serata: ne ha siglati 31, cosa gli impedisce di aggiungerne due nel tabellino finale? Jordan, però, ha già aperto la scatola di cioccolatini, che sembra più un vaso di Pandora con i segreti del più forte. Strappa la palla dalle mani del 32 come un grizzly con i salmoni controcorrente: è sua. E poi, spazio alle immagini.

Dopo aver eseguito senza problemi il furto in post basso, Jordan si fionda sul lato opposto del campo; Utah si è già schierata, ma qui entra in gioco il secondo elemento: Phil Jackson decide, nonostante le premesse, di non chiamare time-out. Si fida di Michael, che palleggia insistentemente facendo proseguire il countdown.

Russell si rende improvvisamente conto che, forse, non avrebbe dovuto proferire parola. 15, 14, 13, 12, 11, 10, 9… il contro alla rovescia si ferma prima del previsto: mancano 8,8 secondi al termine quando MJ attacca con la mano forte, la destra. Sembra voler puntare il canestro, tanto che Karl Malone intuisce e cerca di chiudere il passaggio in anticipo. Terzo elemento, et voilà.

Jordan si aiuta con la mano sinistra, spostando il baricentro con un palleggio arretrato; Russell è uno dei salmoni che stanno per finire nelle grinfie del grizzly: la preda è caduta in trappola. È solo e mette le ali al pallone, pronto all’atterraggio alla stazione onnipotenza; il rilascio è perfetto, e non ci si aspettava altro. L’esito, ovviamente, lo conoscete e non importa cosa avvenga dopo. 87-86.

Sono 6,6 secondi sul cronometro, per il titolo numero 6. È l’allineamento degli astri. È il cioccolatino da gustarsi sulla panchina. È tutto un altro sport, quando si parla di quel tiro. 22 anni fa, The Last Shot.

Fonte immagine: profilo Twitter @J23app

Fonte immagine di copertina: profilo Twitter @ESPNAusNZ
Crediti video: Sky Sport

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Harden imita Beckham: vuole una stella per i suoi Houston Dynamo

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petretta

James Harden, cestista statunitense che ha vestito la maglia dei Philadelphia 76ers nell’ultima stagione, ha deciso di acquistare qualche tempo fa alcuni azioni degli Houston Dynamo. Harden ha trascorso ben nove anni in Texas e ha deciso quindi di investire sulla squadra di calcio di Houston che disputa la MLS. Ora, con l’arrivo di Lionel Messi all’Inter Miami di proprietà di David Beckham, il play americano sogna un colpo simile per la sua squadra. Ha infatti rilasciato recentemente alcune dichiarazioni a USA Today Sports: Cerchiamo un campione che venga a Houston. Sappiamo tutti quanto incredibile è Messi, che a Miami insieme alla sua famiglia si sta trovando bene. Anche noi cerchiamo qualcuno che venga nella nostra franchigia e siamo sicuri che lo troveremo. Non me ne occupo io direttamente, ma il club è al lavoro”.

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Clamoroso Lebron James, le sue parole sul possibile ritiro: “Ci devo pensare”

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Nella nottata italiana i Los Angeles Lakers di Lebron James sono stati battuti, e eliminati per 4 a 0, dai Denver Nuggets per 111-113. Lakers che non riescono a riaprire la serie e che manda i Nuggets alle Finals aspettando la vincente di Miami-Boston.

Oltre che per la sonora sconfitta sulle 4 partite, il mondo del NBA è rimasto scosso per le dichiarazioni di Lebron James nel post partita, che lasciano pensare ad un possibile ritiro:

“Ho molto su cui pensare a livello personale sulla possibilità di proseguire con il basket, devo riflettere a fondo”

Dichiarazioni bomba del 4 volte campione NBA, che nonostante abbia ancora 2 anni di contratto, con l’ultimo opzionale, non pare più cosi certo di voler continuare a calcare i parquet della NBA. L’idea a cui tutti pensavano era quelli che il “Re” avrebbe aspettato il draft del figlio Bronny, per giocare una stagione insieme a lui. Ha poi confermato alla domanda sul possibile ritiro ai microfoni di un giornalista ESPN.

Poco prima, sempre nella conferenza stampa post partita, si è espresso così su una domanda riguardante la sua visione sulla prossima stagione:

Vedremo cosa succede… non lo so. Non lo so. Ho molto a cui pensare a dire il vero. Personalmente, quando si tratta di basket, ho molto a cui pensare. Penso che sia andata bene, anche se non mi piace dire che è stato un anno di successo perché non sto giocando per nient’altro che vincere titoli in questa fase della mia carriera. Non mi diverto solo a fare una finale di Conference. L’ho giocata molte volte. E non è divertente per me non essere in grado di fare una finale di campionato”.

 

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[VIDEO] Finale di Basket islandese: parte un coro contro la Juventus

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Simpatico siparietto quello avvenuto sabato durante la finale Scudetto del campionato islandese di basket.
Durante un momento di pausa del match tra Valur Reykjavik e Tindastoll, lo speaker del palazzetto ha fatto partire la celebre canzone dei Ricchi e Poveri, “Sarà perché ti amo”.

Fino a qui nulla di strano, ma durante il ritornello, il pubblico si lancia nel celebre coro (di matrice milanista) contro la Juventus, proprio sulle note della canzone.

Un episodio che ha già fatto il giro del mondo e che ha strappato un sorriso a molti in Italia, anche ai tifosi bianconeri.

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Basket

Curry contro LeBron: sfavoriti a chi? Stanotte ritorna in scena il duello

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LeBron James Curry

Non saranno le Finals del quadriennio 2015/2018, ma questa notte sarà di nuovo Steph Curry contro LeBron James. E la Lega già si infiamma, per la serie che questi due talenti potrebbero mettere in piedi.

Il primo guida ormai dal 2009 i Golden State Warriors, con cui ha vinto 4 anelli e segnato un’epoca. Il secondo si è legato con i Los Angeles Lakers nel 2018, laureandosi campione NBA per la quarta volta nella sua storia la stagione successiva.

I PRECEDENTI

Nel 2018 i Golden State Warriors di Curry, Thompson, Durant e Green hanno spazzato via i Cleveland Cavaliers di LeBron James nelle Finals con un nettissimo 4-0. Da un lato abbiamo, probabilmente, la squadra più forte della storia come quintetto titolare. Dall’altro lato un roaster in evidente fase calante che LeBron James, se non da solo quasi, ha trascinato alle Finals. Le sue ottave Finals NBA consecutive, tra Miami Heat e Cleveland Cavaliers.

Nonostante il risultato senza repliche, infatti, dalle parti di Cleveland, King James fu idolatrato come una divinità, quando a fine anno svestì la casacca della franchigia dell’Ohio. Il motivo di tale amore incondizionato del pubblico dei Cavs è dovuto al fatto che il primo addio, che a tutti è sembrato un vero e proprio tradimento, commercializzato all’inverosimile con “The Decision“, è stato ampiamente colmato. Nella sua seconda avventura ai Cavs, LeBron ha portato la squadra ad un livello superiore. E, soprattutto, ha portato a casa il primo anello della storia della squadra. Lo ha fatto con un’impresa degna di nota: prima e unica volta nella storia che una squadra in svantaggio di 3-1 in una serie di Finals è riuscito a ribaltare e vincere.

Quell’estate, LeBron ha lasciato la sua Cleveland e la Eastern Conference, per sbarcare ad Ovest, per la prima volta in carriera, a quasi 34 anni. Con la casacca gialloviola, LeBron ha subito scritto la storia, vincendo il titolo nel 2020 e, soprattutto, tenendo alto il nome di Kobe Bryant, leggenda e volto storico dei Lakers tragicamente scomparso nel gennaio dello stesso anno. Ma dal 2018, non ci sono più stati scontri in un play-off tra Steph Curry e LeBron James. Ci si è andati vicini, se si pensa che nella stagione 2020/21 le due squadre si sono affrontate in un play-in, in cui è stato il King ad avere la meglio.

Ma si tratta di una sfida facilmente oltrepassabile. In primis, perchè non è reputata parte della post-season. In secondo luogo, perchè è stata una sola gara disputata, non una serie.

COINCIDENZA DELLE STELLE

LeBron James è di Akron, Ohio. Per tutti ora è “Il King“, ma per anni è stato “Just a kid from Akron“. Un’etichetta nata per erssere dispregiuativa e limitante nei suoi confronti e che ora, invece, lui stesso sfoggia con orgoglio. Il ragazzo venuto dal niente, in possesso solo di un talento sconfinato, schiacciato dalle attese sin dal suo ingresso nella Lega a soli 18 anni. Ed ora diventato leggenda.

Ma se andassimo a leggere, invece, data e luogo di nascita di Steph Curry, ritroveremo un nome familiare. Anche in questo caso, Akron, Ohio.

Le due stelle più rappresentative del basket americano degli anni 2010, vincitori di 7 titoli complessivi su 1o disponibili tra il 2010 e il 2020 concittadini. Nati nello stesso ospedale di Akron, a poco più di 3 anni di distanza. Quando le stelle (in questo caso, in senso astronomico) decidono di dare alla luce altre stelle (ora parliamo di Curry e James), il risultato non può che essere esplosivo. Stanotte, dopo 5 anni dall’ultima volta, i due si guarderanno di nuovo negli occhi in una serie da dentro-o-fuori valida per i Play-off. Con la consapevolezza che solo uno dei due potrà andare avanti.

La cosa più ironica, però, è che i due fuoriclasse sono arrivati a questa sfida scollandosi l’etichetta di chi li dava come “sfavoriti“. Memphis Grizzlies (avversari dei Los Angeles Lakers) e Sacramento Kings (avversari dei GSW) avevano dalla loro un miglior piazzamento in regular season e sembravano favoriti, con una eventuale Gara 7 in casa. Per i Grizzlies questa Gara 7 non si è neanche giocata. Curry, invece, ha letteralmente vinto quella giocata contro i Kings, con la migliore prestazione della storia in termi di punti segnati (50) in una Gara 7.

Da stanotte saranno l’uno contro l’altro, in una sfida che si prospetta già elettrica e piena di colpi di scena.

TUTTO SU SKY

La diffusione dell’NBA in Italia, ormai da anni, è governata da SKY. Su SkySport NBA (ed in streaming su NOW) sarà possibile assistere alle prime quattro gare in diretta e in replica. Si inizia stanotte alle 4:00 ora italiana.

Gara 1

LIVE nella notte tra martedì 2 e mercoledì 3 maggio ore 04:00

Repliche mercoledì 3 maggio ore 11:00, 14:00, 19:30 e 22:45

Gara 2

LIVE nella notte tra giovedì 4 e venerdì 5 maggio ore 03:00

Repliche venerdì 5 maggio ore 11:00, 14:00, 19:30 e 22:45

Gara 3

LIVE nella notte tra sabato 6 e domenica 7 maggio ore 02:30

Repliche domenica 7 maggio ore 14:00 e 19:30

Gara 4

LIVE nella notte tra lunedì 8 e martedì 9 maggio ore 04:00

Repliche martedì 9 maggio ore 11:00, 14:00, 19:30 e 22:45

Eventuali gara 5, gara 6 e gara 7 verranno comunicate in seguito.

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