Era il 1939 quando, fra tensioni e premesse del secondo conflitto mondiale in un clima teso e ostile, nelle sale statunitensi compariva “Il Mago di Oz”. Ed è in quel clima teso, ostile e incerto in cui neanche la parola casa era ormai più sinonimo di sicurezza, che dalla bocca della protagonista, Dorothy, risuonava paradossale e stonata per il momento storico una delle frasi cinematografiche più famose di tutti i tempi, inserita poi al 23esimo posto nella AFI’s 100 Years… 100 Movie Quotes, la classifica delle 100 migliori frasi del cinema stilata nel 2005 negli USA: “There’s no place like home”, che nella tradizione italiana diventerà “nessun posto è bello come casa mia”.
E quella frase ritorna estremamente attuale nel “nostro” mondo fatto di scarpini e parastinchi, un mondo che vive di nostalgia e per questo capace di resuscitare frasi, modi, personaggi e atteggiamenti quasi secolari e donargli nuova vita.
L’IMPORTANZA DI CASA
Chi gioca le ha sperimentate, chi lo ha fatto lo sa e i futuri campioncini che cominceranno impareranno col tempo a conoscerle. Le mura di “casa”, quelle del proprio stadio o impianto, per un professionista o un semplice dilettante, hanno un valore speciale. Spettatrici di sforzi, fatiche, impregnate dell’odore del sacrificio e delle tattiche a porte chiuse quelle mura sanno restituire tutto durante la partita. Un’aria romantica e rassicurante avvolge il proprio campo la domenica, quella stessa leggera aria romantica e rassicurante che per gli “ospiti” diventa clamorosamente pesante, un macigno, quasi un handicap ancora prima di cominciare a giocare. Tutto poi è relativo. Casa di chi gioca e di chi sostiene dalle tribune. Tutti padroni delle stesse mura dove qualsiasi squadra, allenatore o giocatore avversario che creda di poter “comandare” dovrà misurarsi e vincerne il grande peso aggravato da tutti i fedeli tifosi settimanalmente presenti, e necessaria presenza, per rendere ancora più pesante l’aria di casa.
Chi gioca, chi ha mai giocato lo sa, chi giocherà imparerà a farlo, giocare in casa è magia. E in un calcio, quello di oggi, dove stipendi e incassi fanno la differenza e dove gli stadi di proprietà, sinonimo di maggiori introiti e conseguente potenza economica, stanno diventando bisogno primario di ogni club, in un calcio dove sempre più spesso i soldi superano magia e cuore, per fortuna, questa concezione di casa sembra resistere e non abbandonarci. In Italia l’ipotesi, non troppo remota e lontana nel tempo, di vedere una delle due milanesi lontano da San Siro aveva spaventato qualcuno. Il modello Juventus, traslocato nel nuovo Juventus Stadium ha aperto le porte e scaturito una reazione a catena fra le società italiane decise ormai, chi più e chi meno, a costruirsi la proprie casa.
In Inghilterra invece, l’ultimo e romantico episodio ha la firma del Tottenham. L’importanza di casa e di chi sta dentro ha fatto arrivare i dirigenti inglesi alla sofferta decisione. Un trasloco momentaneo che, seppur breve, l’aria di nostalgia se l’è portata dietro.
Per le partite in casa spesso raggiungiamo il tutto esaurito e ogni anno la lista d’attesa per l’abbonamento è davvero lunghissima. Fra i top club europei siamo quelli che hanno lo stadio con capienza minore.
Parole di Daniel Levy, presidente del club. Uomo consapevole dell’importanza di casa e di chi sta dentro, chi la vive, così da arrivare alla decisione. Il Tottenham trasloca e nella stagione 2017/18 giocherà a Wembley, casa altrettanto bella e grande, ma non la propria. Il trasloco necessario alla demolizione di White Hart Lane, servirà per la costruzione del nuovo White Hart Lane, 20.000 posti più grande. 56.000 dunque saranno le voci a intonare e pesare, gravi e potenti, sulle spalle di chi entrerà in quello stadio convinto di poter comandare.
ARRIVEDERCI
“Chiudi bene per favore!”. Quello del Tottenham non è un addio ma un arrivederci. Un trasloco momentaneo a Wembley, non proprio la più fortunata delle opzioni. Il Tottenham a Wembley, infatti, ci ha già giocato quest’anno. Solo 4 gare fra Champions ed Europa League con il misero bottino di una vittoria, due pareggi e una sconfitta. Non le migliori premessero di ben arrivato nella nuova casa. Si tratterà di un anno soltanto, o forse poco più, e i lavori per il nuovo White Hart Lane già sono cominciati. L’arrivederci è stato dolce: ultima gara onorata con la vittoria 2-1 contro Mourinho, non uno qualunque, e invasione finale di quei tifosi che rendono ancora più caldo il clima di casa. E chissà se qualche pezzo d’erba se lo sono portato via. Poco importa poi se la mandata finale alla serratura l’ha data Rooney al 71′ con l’ultimo gol a White Hart Lane. Ormai fa parte del passato. Quel nostalgico e romantico passato che il calcio sa far rivivere. “There’s no place like home”. Non è un addio a White Hart Lane, ma solo un doloroso e romantico arrivederci.