Dal punto di vista politico il 1966 in Germania non ha un particolare valore. In generale potremmo dire che i 28 anni che vanno dal 1961 al 1989 i tedeschi li ricordano come un unico blocco, sopra il quale campeggia la scritta Muro di Berlino. Sono anni difficili: anni in cui la capitale tedesca è il simbolo più visibile della Guerra Fredda e cemento e filo spinato ostruiscono la via verso la libertà.

Nel mondo del calcio però, Berlino e il 1966 formano un binomio storicamente importante. Infatti, è il 15 gennaio di quell’anno quando sotto il nome di Dinamo Berlino viene rifondata la squadra che di lì a poco inciderà per oltre un decennio il proprio nome nel massimo campionato della Germania dell’Est. Non stiamo parlando di un’armata fondata su uno stile di gioco riconoscibile, ma di una squadra che di riconoscibile ha solo il finanziatore alle sue spalle: Erich Mielke, fondatore della STASI, al tempo la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio della Repubblica Democratica Tedesca. Quella squadra si macchierà di dozzine e dozzine di vittorie manipolate da arbitraggi più che discutibili, mutilando le competizioni e ammazzando la passione dei tifosi.
A circa 23 km di distanza, nel quartiere di Köpenick, sempre nel 1966 gli acerrimi rivali della Dinamo cambieranno per l’ultima volta il loro nome, diventando la Union Berlino. Se nella scelta del nome saranno per diversi anni indecisi, la posizione politica è chiara sin da subito: ferrea opposizione alla STASI e a tutto ciò che gravita attorno ad essa. Lo scontro, come detto, porta poco in termini di risultati sportivi, ma costituisce un mattone fondamentale per la crescita dell’identità dell’Union Berlino, ribattezzata negli anni ’70 come la squadra della ribellione. Ciò che alimenta l’Union più di tutto è il sentimento popolare, che sfocerà in totale devozione verso la maglia nel corso degli anni.
IMMER WEITER MIT EISERN UNION
La caduta del Muro il 9 novembre del 1989 e la successiva riunificazione dei campionati restituiranno al calcio tedesco quella credibilità che merita. A Berlino per Dinamo e Union, per motivi ovviamente differenti, quello post-riunificazione sarà il periodo più duro: la squadra del generale della STASI da lì a qualche anno sprofonderà tra la terza e la quarta serie, mentre gli arcirivali dovranno convivere con continui problemi economici. Le due si incroceranno un’ultima volta nel 2005: anche l’Union è precipitata in quarta divisione, mentre la Dinamo è abbonata alla competizione da diversi anni. La sfida è impari e i vecchi rivali del regime si impongono per 8-0. Lo scalpo della Dinamo è esposto ancora oggi sul tabellone manuale Stadion An der Alten Försterei, dove è riportato il punteggio di quella partita.

L’exploit nel derby non modifica la parabola dell’Union. Per anni la società si trova a camminare sull’orlo del precipizio, con ripetuti dissesti finanziari pronti ad aprire le porte del fallimento. Quello storico derby, ad esempio, l’Union lo gioca soltanto grazie alla generosità dei propri tifosi. Difatti, per permettere alla società di ottenere la licenza necessaria per giocare in quarta seria danno vita alla campagna “Bleed for Union”, attraverso la quale raccolgono fondi da destinare alla squadra.
Il secondo grande gesto d’amore i tifosi lo compieranno qualche anno dopo per regolarizzare la propria roccaforte: l’An der Alten Försterei. Le donazioni di circa 2000 tifosi, abbinate a 140mila ore di lavoro gratuito dei volontari permetteranno alla squadra di disputare le partite casalinghe in uno stadio all’avanguardia. Tabellone luminoso (con quello manuale destinato solo a ricordare la grande vittoria), tribune a ridosso del campo e, soprattutto, per non smarrire l’anima operaia del pubblico, 22mila posti disponibili di cui solo 4000 a sedere. Nel 2009 la società – che ancora oggi è proprietaria dello stadio – vende parte delle azioni a soci e sponsor del club. Una decisione culturalmente singolare che permette ai tifosi della Union di annoverare tra i propri riconoscimenti quello di essere stati i primi in Germania a possedere parzialmente lo stadio della loro squadra.

Nell’impianto prima di ogni partita risuona l’inno composto per la squadra da Nina Hagen, una delle artiste a tutto tondo più rinomate dell’intera nazione. Il testo dell’ inno, che nella maggior parte dei casi sono pieni di retorica spicciola, in questo caso delinea al meglio l’identità di una comunità che si professa diversa e che non fa altro che dimostrarlo.
Wir aus dem Osten geh’n immer nach vorn
Schulter an Schulter für Eisern Union
Hart sind die Zeiten und hart ist das Team
Darum siegen wir mit Eisern Union
Noi dell’Oriente siamo sempre
spalla a spalla per Eisern Union
I tempi sono duri e dura è la squadra
Ecco perché vinciamo con Eisern Union
ENDLICH BUNDESLIGA!
Dall’anno prossimo, per la prima volta nella storia dell’Union Berlino, le note di Nina Hagen accompagneranno la squadra nella prima serie del campionato tedesco: la Bundesliga. Nell’ultimo lustro la squadra ha solo annusato il grande salto, ottenendo come massimo risultato un quarto posto due stagioni fa.
Quest’anno, senza particolari stravolgimenti alla rosa e con in panchina l’esperienza di Urs Fischer (ex tecnico del Basilea), le porte della Bundesliga si sono finalmente aperte. Porte si, ma non quella principale. Infatti, dopo un anno passato tra la prima e la seconda posizione, il pareggio con il Bochum all’ultima giornata ha relegato la squadra nel limbo dei playoff. Come da regolamento l’avversaria designata è stata la terzultima classificata della Bundesliga, in questo caso il temibile Stoccarda.
https://youtu.be/7LVKjEV3CVg
Al termine di due match terminati in pareggio, a risultare decisive sono state le reti in trasferta di Abdullahi, ala destra nigeriana pescata in Norvegia, e Friedrich. Quest’ultimo, classe ’95, è la colonna dell’impermeabile difesa berlinese: 33 gol subiti, di cui solo 11 tra le mura di casa, dove peraltro in 17 partite hanno rimediato una sola sconfitta.
Scorrendo la lista dei giocatori a disposizione di Fischer è complesso trovare qualche volto noto. L’unico, ma solo per il celebre cognome che porta sulle spalle, è Felix Kroos, che con il fratello Toni condivide tratti somatici, posizione in campo e poco altro. In generale, pochi giocatori con un passato o un futuro glorioso sono passati nel quartiere di Kopernick. L’ultimo è sicuramente Robert Uth, che, più di dieci anni dopo l’ultima apparizione a Berlino, al fianco di Wes Morgan formerà la retroguardia del Leicester di Ranieri campione d’Inghilterra
EST? OVEST? UNION
L’unicità dell’Union Berlino non rappresenta il ritorno in voga di una squadra gloriosa, ma il primo viaggio nei piani alti fatto da una comunità che si è resa autosufficiente per garantirsi un futuro. Una cronistoria sportiva da provinciale con il titolo di seconda squadra più amata della capitale tedesca, alle spalle dell’Hertha Berlino, con cui l’ultimo confronto è avvenuto il giorno dell’inaugurazione del nuovo An der Alten Försterei, nel 2013. La rivalità non è mai esistita, anzi, ai tempi del Muro tra le due tifoserie c’era un gemellaggio non scritto: entrambe invise alla DDR. Adesso i cugini dell’ovest sono visti come una delle tante squadre sovvenzionate da fondi stranieri, immersi in un mondo sportivamente vicino all’Union ma culturalmente anni luce distante. Infondo, come canta Nina Hagen, ci può essere una sola Union.