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La depressione e il calcio: mondi diversi ma non poi così lontani

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Uomini straordinari, ordinarie solitudini

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“Una perturbazione dolorosa più forte di ogni istanza moderatrice del volere”: è questa la sentenza proferita da Carlo Emilio Gadda, scrittore italiano del ventesimo secolo, per descrivere la sua idea di stato depressivo nell’uomo. La sede del suo illuminante giudizio si trova tra le pagine de “La cognizione del dolore”, romanzo scritto e ideato dalla stessa penna milanese. L’arte, quindi, accorre in nostro soccorso, lanciandoci un salvagente sotto forma di metafora che ci aiuta a dare un’immagine del tristemente famoso concetto di stato depressivo. Nella superficiale visione della massa, la tristezza e la depressione vanno erroneamente a braccetto: spesso, infatti, l’osservatore disattento confonde i due concetti ritenendoli simili e ignorando quanto, invece, essi siano diversi.

La malinconia, infatti, è uno stato d’animo connaturato nell’individuo con una funzione fondamentale a livello motivazionale e di auto-analisi del singolo. Lo stato depressivo, invece, influenza diversamente il genere umano ed è pericolosamente totalizzante, in quanto si traduce in un rallentamento sia fisico che emotivo. Normali e regolari gesti quali alzarsi dal letto o lavarsi i denti, si tramutano, improvvisamente, in una ripida scalata a mani nude su una cima inarrivabile: ogni azione, durante questo terribile stato emotivo, si scompone nel cervello in tante componenti, tutte con il proprio fardello morale e tutte senza un senso preciso.

Gianluigi Buffon, un giocatore che in passato ha sofferto di depressione ma che è riuscito brillantemente ad uscirne.

In una società iperattiva e prestazionale come la nostra, chi soffre di depressione è ancora soggetto ad una fortissima ostracizzazione: pertanto chi è affetto realmente da questo stato emotivo (non gli adolescenti dolenti che accompagnano selfies a citazioni di cui ignorano l’origine) tende a non pubblicizzare questa condizione perché ritiene che possa ledere la sua immagine pubblica o possa allontanarlo da persone care. La chiusura ermetica rispetto al mondo dei “non depressi”, è una tendenza comune tra chi soffre di depressione nonostante siano consapevoli che vi sono altre persone che versano in una condizione simile ma non uguale. E’ importante sottolineare il concetto di similitudine e non confonderlo con quello di uguaglianza: il depresso, infatti, ritiene di essere il più sfortunato di tutti, di essere unico nel suo genere. Il mio “Non valgo niente” ha maggiore valore rispetto al tuo, nonostante sia palese che stia meglio di te.

Si potrebbero battere un milione di queste parole per raccontare la piaga di questo triste stato d’animo ma noi di Numerodiez, umili e appassionati oratori del calcio, non ne abbiamo le competenze necessarie. E allora, quale è la ragione per cui abbiamo scomodato questo tema così delicato? Semplice: mostrare come, anche nel mondo del pallone, possa farsi largo questa triste condizione dell’uomo. Il pensiero che molti di noi hanno sulla vita dei calciatori è un’equazione banale e superficiale: fama, più soldi, più belle macchine uguale a vita perfetta. Tutto questo, tra l’altro, viene ingigantito dal mondo dei social: una vetrina di vita inarrivabile ai più, che aizza l’invidia del popolo. Nell’opinione approssimativa e nazional-popolare, quindi, l’idea che un calciatore possa soffrire di depressione, appare ridicola e quasi inaccettabile.

Gianluca Pessotto, ex giocatore della Juventus che, nell’estate del 2006, a seguito di un forte stato depressivo tentò l’estremo gesto. Fu salvato dalla macchina di Bettega.

Nella formulazione di questo pensiero, tuttavia, dimentichiamo un dettaglio importantissimo: prima di essere alieni o eroi da emulare, i calciatori sono esseri umani dotati di un carattere ben preciso e di fragilità come ciascuno di noi. Dietro gli abbaglianti fari della popolarità, ci sono strade buie fatte di sacrifici, pianti, rabbia e dolore. Abbandonare la propria famiglia, i propri amici e il proprio paese nel pieno dell’adolescenza non è semplice. Resistere allo spietato ring della concorrenza per un posto in squadra, è tutt’altro che facile. Non sprofondare sotto il peso delle critiche e non montarsi la testa è assai arduo. Queste sono solo alcune delle sfide a cui i calciatori devono far fronte: chi arriva in alto è dotato di una grande tenacia mentale, per questo la frase “Per arrivare in cima ci vuole la testa più del talento” non è un proverbio superficiale ma una grande verità.

Quest’oggi racconteremo, tramite alcuni esempi di calciatori, come il meteorite della depressione e il pianeta del pallone entrino spesso in collisione: vi è chi ne è rimasto schiacciato, chi è riuscito a superarla e chi invece sta ancora lottando per vincerla definitivamente.

 

IT’S NOT OK TO BE OK

Semplice, diretta e empatica. Una frase scritta e ideata dai tifosi del Celtic Glasgow, nei confronti del loro bomber Leigh Griffiths, inghiottito a soli 28 anni dalla spirale della depressione confluita nel gioco d’azzardo. L’attaccante scozzese è il classico centravanti di provincia che ha trovato nei biancoverdi la realtà ideale al punto che in 210 presenze ha segnato oltre 100 gol, contribuendo alla vittoria di 5 campionati scozzesi e 4 coppe di lega. Fisico magrolino e fronte stempiata, Leigh con la sua espressione da scapestrato ragazzo d’oltremanica sarebbe un profilo perfetto per quel capolavoro di film chiamato “Trainspotting”.

La sua routine quotidiana, sia in adolescenza che nella sua carriera calcistica gravitava, sostanzialmente, intorno a quattro poli: casa, campo di allenamento, pub e sala-scommesse. Un vizio comune a molti ma che nel giovane Leigh era diventato un vero tarlo. Il ragazzo era in grado di gettare grana nel mondo delle scommesse con la stessa semplicità con cui la domenica andava in gol ma soprattutto era sconcertante la sua insaziabile fame del rischio che lo portava a puntare soldi su qualsiasi cosa: dalle partite, alle gare di cavalli fino ad arrivare ai combattimenti fra animali, risse tra ubriaconi o, addirittura, su chi tra i suoi amici urinava più lontano.

Leigh Griffiths mentre esulta dopo uno dei tanti gol segnati con la maglia dei Celtic.

Una vera e propria dipendenza che sfocia in depressione quando l’estratto del suo conto, decisamente in negativo, lo colpisce come un violento pugno. Una situazione economica ingestibile, 5 figli sul groppone e l’umore pesante dei tifosi per il suo drastico calo lo portano a sprofondare in un tunnel che preoccupa tutti, dai compagni, alla società fino all’ormai ex allenatore, Brendan Rodgers. Proprio l’ex tecnico dei Celtic, di comune accordo, con la società decide di aiutare Leigh, ricoverandolo in una clinica riabilitativa per aiutarlo a superare questo stato d’animo che era sul punto di affossare definitivamente il calciatore. Una scelta coraggiosa, sintomatica dell’immediatezza dell’intervento: con Griffiths fuori uso, infatti, il Celtic si trovava con un uomo in meno in attacco, una situazione non facile da gestire.

Ma si sa certe cose hanno la precedenza e, in questo senso, la situazione dell’attaccante scozzese poteva essere bollata come una priorità assoluta. Leigh Griffiths sta compiendo il suo cammino con tenacia e con coraggio ma soprattutto con una intera città che gli guarda alle spalle ed è pronta a gridare ancora il suo nome. Perché come cita il celebre inno degli scozzesi: You’ll never walk alone.

Griffiths con Brendan Rodgers: un secondo padre prima che un allenatore.

DEPRESSIONE BLAUGRANA

Sono tanti gli epiteti affibbiati a quell’artista di nome Andrès Iniesta: da Don a maestro fino ad arrivare a genio, tutti questi splendidi aggettivi sottolineano come la modalità di pensiero dello spagnolo sia eccelsa e differente dalle altre. Solitamente si pensa che una persona dotata di un’intelligenza più acuta della media possa superare facilmente, o addirittura non essere scalfita dalle paranoie mentali che tormentano l’uomo comune. Nulla di più sbagliato, in quanto colui che ottiene grandi risultati è spesso vittima di grandi aspettative sia provenienti dal proprio io interiore che dall’esterno. Nella logica di pensiero popolare Andrès è sempre stato visto come un uomo dall’aspetto comune che faceva cose fuori dal comune: un supereroe simile a noi che con il suo sorriso trasmetteva tranquillità e non dava l’impressione di un uomo tormentato da demoni interiori. Solitamente agisce così la maledetta, si palesa dietro finti sorrisi di circostanza e esce allo scoperto nei momenti più felici di un uomo. “Tutto comincia dopo aver vissuto quella che sarebbe dovuta essere l’estate più gloriosa della mia vita”, parole del maestro Iniesta che confermano questa tesi e che si riferiscono alla celebre estate del 2010, coincisa con la vittoria mondiale della Spagna sull’Olanda con un suo gol decisivo.

Il mago Andres Iniesta in azione con la maglia blaugrana.

Dopo il trionfo di Johannesburg comincia, improvvisamente, a stare male. Un malessere fisico e mentale ritenuto erroneamente temporaneo e per questo inizialmente ignorato. Il proseguio di questa condizione, tuttavia, incomincia a suscitare in lui qualche preoccupazione. Si sente spossato e da inesperto in materia decide di affidarsi ai medici: esami su esami non riscontrano nulla e lì il timore cresce. Alla Masìa, centro tecnico del Barcellona e sua seconda casa, vive attimi di terrore quando ritorna ad allenarsi: è terrorizzato dal pallone, da quella sfera che sa trattare come pochi e che dovrebbe essere la sua migliore amica. Diventa schivo, cupo e vulnerabile: queste caratteristiche, prima a lui straniere, cominciano a prendere piede nella sua vita quotidiana rendendolo un’entità incapace di agire. L’obbiettivo quotidiano di Andrès, in quel grave momento di debolezza, era una solo: ingurgitare la sua pillola antidepressiva e filare a letto, evitando qualsiasi relazione umana sia con la famiglia che con la squadra. Ma è proprio ciò che si respinge che, spesso, rappresenta l’unico appiglio per ripartire: famiglia, amici intimi e i veterani compagni di squadra costituirono la sua clinica riabilitativa personale che lo riportarono sulla retta via e a palesare sorrisi genuini impregnati di gioia e non di tristezza.

L’inizio della fine, l’apoteosi e il baratro: tutto questo è racchiuso in questo gol di Andres, quello contro l’Olanda nella finale dei mondiali.

Dal genio all’erede designato di quest’ultimo, da Iniesta a Andre Gomes. Probabilmente qualche amante del calcio o qualche aficionado blaugrana storcerà il naso di fronte a questa nostra affermazione ma l’acquisto del Portoghese, nell’estate del 2016 dal Valencia, era stato dichiarato proprio con quell’intento. In effetti le giocate e il contributo offerto dal classe 93’ in maglia valenciana ricordavano, nel modo di intendere il calcio, quelle di Andres. 35 milioni più due di bonus fu la cifra necessaria per far sbarcare il regista conterraneo di Cr7 in Catalunya. I primi 6 mesi furono positivi e le sensazioni della dirigenza catalana erano quelle di aver azzeccato l’investimento. C’è una credenza non scritta, tuttavia, che insegna che quando tutto va bene qualcosa deve andare male. 

Una superstizione che trova il tempo che trova ma che, nel caso di Andre Gomes, si avverò: con l’ottima rendita della squadra, le pressioni sui componenti della rosa aumentarono, inesorabilmente. Vi è chi, abituato a conviverci, le sopporta e riesce a non farsi schiacciare dal suo peso e vi è chi invece come Andre che, sconcertato dalla loro mole, ne rimane schiacciato. Sotto il grande carico di fischi e aspettative catalane, Andrè compì un involuzione incredibile che gli costò, oltre che il posto in squadra, anche numerosi insulti da parte della tifoseria. Il ragazzo fragile, cadde anche lui vittima di quella maledetta piaga chiamata depressione: si chiuse in casa senza alcuno stimolo ad uscire, al campo arrivava tormentato dagli errori della partita precedente e, nonostante il supporto dei compagni, appariva un’ameba.

Andre Gomes in azione con la maglia blaugrana.

A detta dell’allenatore Luis Enrique, Andrè giocava col freno a mano tirato con la paura di commettere errori ma soprattutto con la consapevolezza di queste sue debolezze. Nonostante la sua presa di coscienza, Il portoghese non riuscì a trovare la forza di reagire al punto che in due anni di Barcellona furono soltanto 46 le presenze condite da 3 gol. La cessione apparì quindi inevitabile: erano tante le squadre interessate ma fu solo l’Everton, squadra di alta-media fascia della Premier League, a credere nel ragazzo perché consapevole delle sue qualità. Andrè,  in maglia Toffees si sta parzialmente riprendendo la sua vita ma vive alla giornata e sopratutto con la consapevolezza che il mostro è sempre lì in agguato.

La parziale serenità ritrovata di Andre Gomes in maglia toffees. (Photo by Clive Brunskill/Getty Images)

Uno dei più grandi giocatori della storia del calcio e una delle più interessanti promesse accomunate da qualità e fragilità, da un passato blaugrana e da quel terribile stato depressivo con cui hanno strenuamente lottato.

 

L’OSCURITA’ DEI RIFLETTORI

“L’Internazionale comunica di aver definito l’acquisto dall’Orebro FK di Martin Bengtsson, svedese, classe 1986, nazionale under 18, centrocampista centrale con caratteristiche da regista, uno dei talenti emergenti del calcio dell’Europa del nord”.

Alzi la mano chi si ricorda del polverone mediatico, suscitato dall’acquisto di questo ragazzotto in un freddo gennaio del 2004? Probabilmente un deserto di arti si paleserebbe davanti ai nostri occhi con l’eccezione di qualche addetto ai lavori neroazzurro. Tuttavia, 15 anni orsono, l’ingaggio di questo figlio della Scandinavia era stato accolto come un vero e proprio affare. Era un futuro craque, Martin, strappato dalle grinfie di vari top club europei quali le regine spagnole e i lancieri dell’Ajax.

Il biondo e gracile ragazzino, dalla parvenza timida ed educata, palesava una grande sicurezza di sé, mostrata già nelle prime dichiarazioni interiste: “Il mio unico obiettivo è diventare un calciatore e tutta la mia vita gira intorno a quello. C’era solo calcio”.Chiamasi fortuna del principiante o prontezza all’azione, all’inizio tutto andava a gonfie vele per Martin che, nella prestigiosa Coppa Carnevale di Viareggio, incantava, con gol e giocate, tutta la Toscana e la famiglia neroazzurra. Una fiammata del ragazzo di giaccio tanto sorprendente quanto breve: Martin, infatti, scomparì dai radar del gioco e dei tabellini diventando, in poco tempo, un perfetto candidato per “Chi l’ha visto”.

Bengtsson con la maglia della Svezia nel lontano 2004.

 A complicare il tutto arrivò anche l’infortunio al ginocchio, alla fine della prima stagione all’Inter. Durante quel periodo, non potendo essere protagonista in campo, Martin trascorreva intere giornate sul divano senza la minima idea riguardo a come passare il tempo. Giovane, solo, forestiero e infortunato: lo svedesotto fu lasciato alla deriva senza nessuno con cui sfogarsi o parlare. Rinchiuso in una prigione dorata, Martin non poteva uscire da solo in città, vivendo così in un regime a dir poco opprimente.  Una mole che ti schiaccia ma l’orgoglio che ti impedisce di mollare: questo è il paradosso di Martin che lo portò a una reazione di vergogna verso la rinuncia così forte, che lo condusse a pensare di togliersi la vita. Era un martedì, quando Martin decise di prendere un rasoioe tagliarsi le vene. Nella sua camera, dove fu salvato da una donna delle pulizie, il sottofondo portava la firma di un pezzo di David Bowie. Una cornice macabra, sprezzante, folle che sottolineava perfettamente la tragicità della depressione nel calcio.

Il Pirlo svedese: un grande talento, finito nel dimenticatoio.

“Il sistema calcio ti tratta come una macchina: se non funzioni, avanti un altro. Io ho capito di non funzionare e ho pensato al suicidio”.  Parole di Martin nella sua autobiografia, intitolata nell’ombra di San Siro; dichiarazioni forti che hanno suscitato scalpore in un mondo, quello del calcio, in cui le parole sono tutte ovattate e soppesate. Il tentato suicidio di un minorenne non deve esser nascosto dietro lo specchio del calcio che riflette solo il bello fregandosene dei suoi protagonisti, in virtù di uno share sempre maggiore. Una condizione da cui Martin è riuscito ad uscire a seguito di una rinuncia importante. Oggi Bengtsson ha 31 anni, scrive di musica e frequenta ambienti televisivi e teatrali. E il calcio? A questo, in particolare, ha dovuto dire di no per sempre, mettendoci volontariamente una pietra sopra e definendolo argomento chiuso.

 

TOCCANDO IL FONDO SI PUO’ SOLO RISALIRE

Un’altra regola non scritta, un’altra credenza che si avvera solo se si prende consapevolezza della veridicità di questa frase. Una sfida che supera solo chi è dotato di una grande forza caratteriale che lo spinge a non mollare, nonostante l’oceano di negatività da cui si è circondati. Il pozzo della depressione calcistica è fatto di pareti scivolose, incrostate di insulti e sconforto: lo sa bene Andrea Ranocchia, ora eroe neroazzuro ma in passato capro-espiatorio del biscione. Arrivato con le aspettative di nuovo pilastro della difesa neroazzurra, il difensore marchigiano ha vissuto i recenti anni di declino dell’Inter da principale imputato della crisi neroazzurra: la superficialità del tifo, infatti, non imputa a tutta la squadra le colpe ma a quel giocatore che per limiti tecnici è visto come la zavorra del gruppo. Prima i subissanti fischi dagli spalti, poi, con l’esplosione del fenomeno social, Andrea è diventato la succulente preda dei leoni da tastiera: insulti pesanti, gratuiti e denigranti che hanno fatto sprofondare l’umore del classe 88’.

Ad un passo dal tracollo il Ranocchione nazionale ha trovato nella Kick Boxing una valvola di sfogo e nel motivatore Stefano Tirelli, un amico e una guida nell’arduo sentiero della depressione. Alla base del suo cambiamento vi è anche la modalità di ricezione delle critiche: non più lo sconforto bensì una piccata ironia che toglie l’appetito ai predatori dei social. Rimesso a lucido dopo le esperienze extra-neroazzurre, Andrea è tornato alla casa madre sovvertendo e stravolgendo le concezioni dei tifosi: innamorato dei colori del biscione, ogni volta che è sceso in campo recentemente ha sempre dato tutto senza alcuna lamentela o capriccio e ricevendo indietro il grande amore dei tifosi.

Ranocchi libero di esultare e abbracciato dai compagni per il gol contro il Rapid Vienna. (Photo by Claudio Villa – Inter/Inter via Getty Images )

Una delle esperienze extra- interiste di Ranocchia è stata in Inghilterra, all’Hull City, società storica che ha contribuito al suo cambio di personalità. Proprio oltremanica vi è un esempio perfetto di chi, toccato il baratro della depressione, è riuscito a risalire sino alla cima della positività, diventando un paladino della lotta a questo terribile stato emotivo. E’ il caso di Clarke Carlisle, 40enne ex difensore di Queens Park Rangers, Burnley e Northampton, che ha tentato per due volte l’estremo atto del suicidio. Prima il baratro finanziario dopo il ritiro, poi il licenziamento dal ruolo di opinionista tv: una doppia spinta che lo ha fatto precipitare nella cavità della depressione e lo ha spinto fino all’atto estremo.

E’ stato lo stesso Carlisle a raccontarlo alla CNN tramite una testimonianza cruda e fortemente reale. Mi sono gettato sotto un camion da 10 tonnellate a 96 chilometri all’ora e non mi sono rotto nessun osso, è stato un miracolo che io sia sopravvissutodice Carlisle riguardo all’episodio occorso nel 2014.  Tre anni dopo il difensore inglese ha avuto una grave ricaduta e si è dato per disperso. Fu trovato a vagare per le strade di Liverpool conl’intenzione di togliersi la vita. Camminava per le strade pensando al posto dove morire ma la sua esitazione ha permesso ad alcuni passanti di impedirgli l’estrema azione. Grazie ad un’intensa opera di riabilitazione, all’aiuto della famiglia e di tutta la comunità dei calciatori Carlisle è riuscito a ripartiree addirittura a diventare lui stesso un appiglio per le persone con la sua stessa patologia. E’ stato inoltre eletto presidente dell’assocalciatori inglesecominciando, con il suo mandato, una grande opera di sensibilizzazione sul tema della depressione.

Clarke Carlisle in azione con la maglia del Burnely.

Oltre alle cifre da capogiro, oltre ai gol e agli scatti dei paparazzi, oltre alle auto fiammanti e alle ville, possono nascondersi i timori del più comune tra gli uomini. La depressione è una patologia vera e propria, imprevedibile e variegata come i dribbling di Messi, più forte di una conclusione di Hulk e più letale dei gol di Cristiano Ronaldo. In quanto tale è difficile fermarla ma, come insegnano le imprese di alcune squadre contro questi campioni, per affrontarla bisogna perseguire un proverbio famoso e mai banale: “l’unione fa la forza”. Perché solo grazie all’unità di intenti del proprio io e all’unione con la propria famiglia questa corazzata sarà sconfitta.

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Arrivano le parole di Gravina su Acerbi: “La sentenza va rispettata”

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FIGC

Dopa la decisione del giudice sportivo di assolvere Acerbi sono arrivate le dichiarazioni del presidente della Figc Gabriele Gravina circa l’accaduto. Nelle ultime ore la sentenza aveva scatenato le reazioni più disparate, a partire dall’indignazione del Napoli resa nota tramite un suo comunicato ufficiale. A cercare di placare le acque ci ha provato proprio Gravina, a conclusione dell’Assemblea di Lega odierna. Gravina ha invocato il rispetto verso la sentenza del giudice sportivo. Inoltre si è pure detto disposto a credere alla difesa di Acerbi che aveva saltato per via del caso gli ultimi impegni con la Nazionale italiana. Di seguito vi riportiamo le sue dichiarazioni.

GRAVINA – “L’assoluzione di Acerbi? Si tratta di una decisione del giudice che tutti devono accettare, compreso chi non si sente soddisfatto. Esistono  principi che devono essere rispettati altrimenti corriamo il rischio di  far saltare tutto il sistema. Io accetto il verdetto e sul piano umano  abbraccerò il ragazzo quando lo incontrerò. Abbiamo saputo di una verifica da parte del giudice sportivo e allora, per evitare forme di distrazione, lo abbiamo lasciato a casa. È stata una decisione a scopo precauzionale, non perché già condannato. Acerbi ha fornito le proprie motivazioni e noi crediamo alle parole del ragazzo”.

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Flash News

Kvaratskhelia in dubbio per l’Atalanta: oggi la decisione

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Khvicha Kvaratskhelia, giocatore del Napoli - Serie A, Coppa Italia, Supercoppa Italiana, Champions League

Nella giornata di oggi Khvicha Kvaratskhelia farà ritorno a Napoli. Nel corso del match contro la Grecia che è poi valso la qualificazione a EURO24 con la sua Georgia, l’esterno sinistro è stato costretto ad uscire dal campo a causa di un dolore all’inguine. La sua nazionale ha poi vinto lo stesso ai calci di rigore. La sua presenza contro l’Atalanta resta ancora in dubbio.

LE CONDIZIONI DI KVARATSKHEILA

Come riporta Il Mattino, Kvaratskhelia sarà valutato nelle prossime ore dallo staff del Napoli. La speranza è che si tratti solo di un affaticamento muscolare. Se così dovesse essere la sua presenza in campo per la sfida contro l’Atalanta non sembra essere in discussione. Se invece si dovesse trattare di uno stiramento il georgiano dovrà stare ai box per qualche settimana. il Napoli aspetta il rientro di Kvaratskhelia per capire se sarà necessaria o meno una risonanza magnetica. Vedendo i video che sono circolati sui profili social dello stesso georgiano, che lo ritraevano festeggiare coi compagni, la speranza è che davvero non sia nulla di grave. Il popolo azzurro dovrà restare con il fiato sospeso ancora per qualche ora. Ricordare l’importanza della sfida contro l’Atalanta è quasi superfluo: si potrebbe trattare infatti dell’ultima chance per la Champions League.

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Calcio Internazionale

Futuro Lewandowski: l’Arabia un’opzione ma attenzione all’Atletico

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Barcellona Lewandowski

Il futuro di Robert Lewandowski è molto incerto. I media spagnoli parlano da qualche settimana di un interesse molto forte da parte dell’Arabia Saudita. Si parla addirittura di un’offerta da 100 milioni di ingaggio, cifre folli che potrebbero far vacillare l’attaccante polacco. Secondo quando riporta Sport ES però, su Lewandowski ci sarebbe anche un interesse di un altro club spagnolo: l’Atletico Madrid. Nonostante la rivalità sportiva tra Barcellona e Atletico, le due società hanno spesso fatto affari insieme, quindi quest’operazione non sembra del tutto impossibile.

Lewandowski non sembra voler andare via da Barcellona, ma il club catalano sta prendendo in considerazione una sua possibile cessione, in quando per contratto, l’ingaggio del giocatore è destinato a salire con il passare degli anni. Il classe ’88 ha segnato 20 gol e fornito 9 assist in 39 partite totali: numeri ancora una volta super. La carta d’identità però recita 35 anni e anche per questo motivo il Barcellona potrebbe decidere di sacrificare il suo bomber per puntare su un giocatore più giovane come Vitor Roque, andando ad allinearsi con la politica del club degli ultimi anni.

Una cosa è certa: chiunque riuscirà ad accaparrarsi il contratto di Lewandowski sarà autore di un affare. Basterà solo aspettare per vedere con quale maglietta segnerà una valanga di gol il prossimo anno.

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Calcio Internazionale

ESCLUSIVA – Andrea Compagno, dalla chiamata in Nazionale di Mancini all’avventura in Cina

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Andrea Compagno

Andrea Compagno si è da poco trasferito in Cina, al Tianjin Tiger Football Club, lasciando lo Steaua Bucarest dopo 1 anno e mezzo di gol e grandi soddisfazioni personali. Compagno è nativo di Palermo, nel quale gioca con le giovanili della squadra della città prima di trasferirsi al Catania. Inizia dunque il suo girovagare per l’Italia, sempre giocando nei vari gironi della Serie D, ma senza mai incidere veramente. La sliding doors della sua carriera porta il nome di San Marino, dove va a giocare accasandosi al Tre Fiori.

All’ombra del Titano Compagno vince campionato e coppa, venendo eletto nella stagione 2018/2019 miglior giocatore straniero e capocannoniere del campionato con 22 gol. Trova anche il tempo di segnare il suo primo gol internazionale durante i preliminari di Europa League. Tutto ciò gli vale la chiamata del Craiova, nella Serie B romena, che vince al primo tentativo. L’impatto in SuperLiga è ottimo, tanto da convincere lo Steaua Bucarest (oggi FCSB) a comprarlo per 1.5 milioni di euro, più una clausola del 10% sulla futura rivendita. Nel 2022 è il miglior marcatore italiano nei massimi campionati europei, con Mancini, allora CT della Nazionale, che confida ai media di seguirlo.

La chiamata del tecnico arriva, con la dirigenza dello Steaua Bucarest che riceve la notifica dell’inserimento del loro attaccante nella lista dei pre-convocati di marzo 2023. Andrea Compagno vive il momento più alto della sua carriera, ma inspiegabilmente, all’alba della corrente stagione, arriva la rottura con la società. Il vulcanico presidente dello Steaua, George Becali, cambia improvvisamente opinione su Compagno. Tante le parole dette e riportate dai giornali romeni sulla trattativa che lo ha portato in Cina, ma in esclusiva per l’Italia, Compagno ha spiegato a noi di Numero Diez come sono andate realmente le cose, ripercorrendo questi mesi così difficili per lui. Inevitabile porre uno sguardo su quello che è stato il suo passato, sulle tante fatiche fatte per arrivare dove è oggi, ma anche sul suo futuro, in un altro continente e con la solita voglia di migliorarsi giorno dopo giorno.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – LA SERIE D E L’ALL IN CON SAN MARINO

In Italia hai giocato in Serie D, spostandoti dal Sud al Nord sin da molto giovane, con contratti che specialmente all’inizio ti obbligavano ad andare a fare la spesa con la calcolatrice. Che consiglio ti senti di dare a quei ragazzi che stanno vivendo oggi quel tuo momento?

Quello è stato un periodo bello e brutto allo stesso tempo. Lì vedi più passione di quella che trovi a livelli più alti. Andando avanti nella mia carriera ho visto molti giocatori con la pancia piena, che mi hanno fatto pensare a quanti miei vecchi compagni di squadra avrebbero pagato per essere al loro posto. Quello che a me ha salvato è stato vivere nel mio sogno, nella incondizionata fiducia di potercela fare. Vivevo, mi allenavo e giocavo come se fossi in Serie A. Neanche quando prendevo 400 euro al mese la mia testa è andata a cercare altro, un qualcosa di più sicuro. Fondamentale poi è stata la perenne voglia di migliorarmi. Ce l’ho ancora adesso e penso che ce l’avrò fino all’ultimo giorno della mia vita“.

Lo snodo cruciale della tua carriera è stato scegliere di andare a giocare a San Marino. Nonostante non fosse una lega di livello, era un campionato che ti permetteva di giocarti le coppe europee, cosa che nel CV di un calciatore fa la differenza.

Sono coincise due cose. La risoluzione di un problema alle ginocchia in primis, una condropatia rotulea, grazie a un medico di Palermo che ha capito quale fosse il problema. Fino a quel momento io mi ero abituato all’idea di dover giocare a calcio con il dolore. E poi essendo a San Marino mi stavo giocando un trofeo e l’accesso ai preliminari delle coppe europee, cosa che mi galvanizzava. Ho fatto molto bene, trovando anche il gol in Europa e riuscendo ad aprirmi le porte per l’estero“.

Dopo tutto il tuo percorso, dopo tutte le fatiche che hai dovuto affrontare, cosa ha voluto dire per te essere nella lista dei convocati della Nazionale campione d’Europa?  

Ancora adesso mi vengono i brividi a pensarci. Era un buon momento della stagione con lo Steaua, eravamo in una buona posizione in classifica e a coronamento del momento arriva la chiamata. Mi cercavano tutti, ma a me non piace stare sotto i riflettori, volevo essere concentrato sul campo e sulla squadra. Sono orgoglioso se ripenso a ciò che ho fatto e ciò che ho ottenuto, per me era impensabile. L’unico rimpianto è stato poi che la convocazione in sé non si è concretizzata, per cui non ho mai varcato i cancelli di Coverciano. Farlo penso che avrebbe donato a qualche direttore di squadre di Serie A un pizzico di coraggio in più sullo scommettere su di me la scorsa estate. Rimane però tutto così bello e magnifico che per me è impossibile dargli un’accezione negativa“.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – L’ESCLUSIONE SENZA PREAVVISO ALLO STEAUA

Il tuo trasferimento dallo Steaua Bucarest ha molto a che fare con i rapporti compromessi con il presidente. La sua opinione su di te quando cambia e perché?

Dopo la stagione dei 21 gol, per cui per me era inimmaginabile in quel momento un cambio di opinione sul mio conto. Inoltre aveva deciso di giocare con il falso 9. Un attaccante con le mie caratteristiche non era più quello che voleva, secondo lui non ero neanche da Steaua Bucarest. Ha fatto si che giocassero punte centrali dei calciatori non abituati a quel ruolo pur di non mettere me. Sono stati 6 mesi d’inferno da questo punto di vista, ma i tifosi mi hanno sempre dimostrato il loro affetto. Mi dispiace per come si è chiusa, se proprio avessi dovuto lasciare lo Steaua, l’ideale sarebbe stato farlo d’estate. Dopo i tanti gol e la chiamata di Mancini, sarebbe stato perfetto andare in crescendo, aumentando l’importanza del campionato“.

C’è stata una concreta opportunità durante quel periodo di fare questo salto di qualità?

Il mio obiettivo era quello di andare in un campionato che fosse più competitivo agli occhi della Serie A, che rimane il mio sogno. Quello olandese o quello belga sarebbero stati perfetti. Un’offerta come quella che desideravo era anche arrivata, dall’Heerenveen in particolare. Offrirono 1.5 milioni, ma il presidente rilanciò a 2. In quel frangente non voleva cedermi, l’obiettivo era entrare nei gironi della Conference League. Nel momento in cui non ci riuscimmo, si convisse del fatto che in campionato avrebbe voluto quel famoso falso 9. Tutto questo però è accaduto poco dopo aver rifiutato l’offerta dell’Heerenveen. Erano arrivate anche proposte dall’Italia, dalla Serie B, ma sentivo che non fosse la tappa ideale per il mio percorso“.

E come mai se il tuo obiettivo è giocare un giorno in Serie A, hai deciso di rifiutare la cadetteria? Per certi versi ti avrebbe avvicinato al suo raggiungimento. 

Se fossi sceso in una lega di secondo livello, avrei poi avuto problemi se un un giorno avessi scelto di tornare all’estero. La Serie B è un campionato di assoluta importanza, con molta più qualità di quella che ne è la sua considerazione in altri paesi, ma fuori dall’Italia si concentrano su altro. Prima di te guardano altri 100 mila giocatori che giocano in campionati di serie superiori, anche se di livello inferiore alla B. Stare all’estero mi ha dato tanto, non voglio perderlo. Oltre quelle c’erano state offerte dal Kazakistan e dall’Ungheria, ma non avrei alzato il livello rispetto la Romania come volevo“.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – LA VERITÀ SULLA TRATTATIVA CON IL KONYASPOR

I giornali romeni hanno riportato anche dell’offerta del Konyaspor, in Turchia, che però avresti rifiutato nonostante saresti stato in un campionato con diversi ponti per la Serie A. 

Proprio per tutto il discorso che abbiamo fatto finora sul prestigio del campionato, io do subito la mia disponibilità quando vengo a sapere di quest’offerta da 150 mila euro che avevano fatto al club. Era una trattativa ben avviata, ma sono mancate le condizioni per chiuderla“.

È stata fatta uscire la notizia per la quale l’offerta del Konyaspor non fosse di 150 mila euro, ma di circa mezzo milione, e che tu avessi rifiutato la destinazione preferendo lo stipendio cinese. 

Tutte cavolate, sia le cifre sia il fatto che l’offerta del Konyaspor fosse arrivata insieme a quella cinese. Si era semplicemente inserita una persona che per puro interesse personale prometteva al presidente di fargli arrivare un’offerta più alta dalla Turchia, ma non ce ne era più nessuna in realtà. In Cina stava per arrivare il capodanno cinese, e mi avrebbero dovuto tesserare per forza prima di questa scadenza. Per colpa di questo contrattempo stavo rischiando di non ultimare in tempo i dettagli con il Tianjin“.

ANDREA COMPAGNO IN ESCLUSIVA – LA CINA COME NUOVA TERRA DA CONQUISTARE

Non ti ha spaventato la fuga dei grandi nomi che c’è stata negli ultimi anni dal campionato cinese nel momento in cui lo hai scelto? 

Non posso esserne spaventato. Quelli erano giocatori che percepivano stipendi molto lontani dalla mia situazione. È un’opportunità importante per me, ci sono solo 5 posti per gli stranieri per squadra, e le speranze che ripongono in questi sono alte. Per questo è difficile vedere dei contratti lunghi, ma anche solo entrare nel campionato è complicato“.

Cosa ti ha sorpreso in questi primi mesi lì?

Il livello degli stranieri è molto alto, ma anche tra i cinesi vedo buone individualità. Certo, le mie sono solo prime impressioni, sono appena arrivato, ma è chiaro che loro stiano investendo tanto. Hanno degli stadi enormi e all’avanguardia, nella città dove sono io ce n’è uno da 30 mila posti e un altro da 60 mila. Non hanno però la cultura del centro d’allenamento come casa base, noi ci alleniamo direttamente allo stadio per esempio. È diverso da quello a cui ero abituato. Quello che certamente dimostrano è tanto entusiasmo e tanta organizzazione, che si riflette anche in allenamento. Prepariamo ogni situazione, calci piazzati, rimesse laterali… sto lavorando sulla tattica molto più qui che in passato“.

La Cina porta 4 squadre alla Champions League asiatica, che oltre a essere un’altra competizione internazionale a cui potresti prendere parte, ti potrebbe far vivere delle esperienze con giocatori incredibili. Quanto speri di ritrovarti a giocare il prossimo anno con personaggi del calibro di CR7?

Se non è lui ce ne sono tanti altri. Qui c’è un entusiasmo incredibile anche solo per il campionato, non oso immaginare cosa vorrebbe dire fare la Champions. Sono sincero, come ho fatto appena arrivato in Romania, me la voglio vivere giorno per giorno. Ragiono partita dopo partita con la volontà di farmi apprezza qua come fatto altrove“.

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