Alla Ricerca del Diez
Victor Osimhen, l’oro di Napoli

Pubblicato
2 mesi fa:

Il Napoli, con dodici punti di vantaggio sul Milan secondo in classifica, inizia a intravedere il traguardo finale, quello del terzo Scudetto della sua storia. A metà campionato, con 50 punti raccolti, l’impresa è sempre più vicina. 19 partite per suggellare il vantaggio e continuare a dimostrare la grandezza e la bellezza messe in luce finora, a suon di prestazioni esaltanti. La squadra di Spalletti gioca il miglior calcio d’Europa insieme al Manchester City e l’Arsenal. Il gruppo, allenato in modo sublime dall’allenatore toscano, è stato il vero punto di forza in questa prima parte di stagione meravigliosa, il motore di una macchina quasi perfetta.
Titolari e riserve sono amalgamati perfettamente. Tutti rendono al massimo, indipendentemente dal fatto che i minuti a disposizione siano 90 o 10. Il mercato ha sorpreso chiunque, con innesti mirati e incredibilmente produttivi, calatisi immediatamente nel ruolo di protagonisti, come Kim e Kvaratskhelia, superbi nel sostituire due totem come Koulibaly e Insigne.
ARMA LETALE
Il perno, tuttavia, l’arma in più, l’uomo che ha fatto alzare il livello di competitività è, senza alcun dubbio, Victor Osimhen. L’attaccante nigeriano, dopo due stagioni in cui ha fatto vedere solo in parte le qualità che possiede a causa di continui problemi fisici, sembra essere definitivamente esploso.
In stagione ha già messo a segno 14 reti condite da 4 assist in 19 partite in tutte le competizioni, viaggiando a una media di un gol ogni 103′. Ha raggiunto la consapevolezza nei propri mezzi, ha sviluppato una maturità mai dimostrata fino ad ora, calandosi nella parte del leader tecnico e carismatico. Osimhen è sempre più decisivo.
🤝 @victorosimhen9 professione: FARE GOL! pic.twitter.com/yareTWYcF6
— Lega Serie A (@SerieA) January 24, 2023
Voltandosi indietro, è lecito chiedersi se gli infortuni patiti nei primi due anni in Italia lo abbiano fortificato, riuscendo a cavarne il meglio, soprattutto a livello mentale. Nel 2020-2021 è costretto a rimanere fuori dal campo per oltre due mesi a causa del Covid. Nel 2021-2022, invece, durante Inter-Napoli del 21 novembre, si rompe lo zigomo sinistro e l’orbita oculare in seguito a uno scontro terrificante con Skriniar. Inevitabile temere il peggio vista l’entità dell’urto. L’attaccante del Napoli torna a giocare solamente a gennaio, saltando quasi due mesi di stagione.
Il suo ritorno segna anche la comparsa della maschera, dalla quale non si è più separato. Da allora, Osimhen si è trasformato, come se quella maschera, oltre ad avere funzione protettiva, lo abbia reso un supereroe. D’altronde, nella cultura africana le maschere hanno un significato, spesso ultraterreno, sono il mezzo con il quale ci si può mettere in contatto con entità superiori, rappresentandole in terra.
UNO SPIRITO LIBERO
Indubbiamente, Osimhen sta giocando un calcio trascendente, istintivo, a tratti selvaggio. L’ex attaccante del Lille lotta, corre, cade, difende, trascinato da una forza interiore impetuosa. Aiuta i compagni, pressa a tutto campo, non molla mai.
La sua rete contro l’Ajax nella gara di ritorno della fase a gironi, quella del definitivo 4-2, ne è la prova lampante. Si lancia su una palla innocua, rubandola a Blind e appoggiando nella porta lasciata sguarnita da Pasveer, defilatosi per ricevere il passaggio del suo difensore. Un gol animalesco, conquistato con la grinta e la garra di chi vuole conquistare il mondo.
⚽88' ¡GOOOL DEL NAPOLI! Victor Osimhen hace el suyo ante la inexistente defensa del Ajax | Napoli 4-2 Ajax. #ChampionsLeaguepic.twitter.com/VMdCltUgXB
— Golazoz (@golazoz_) October 12, 2022
Vederlo giocare, per quanto possa peccare di grazia, è liberatorio. Osimhen non emerge per l’eleganza nei movimenti o nelle conclusioni. Il suo incedere è spesso goffo, disarticolato. L’impressione che si ha, a volte, è che non riesca a controllarsi, dominato da un pathos interiore inafferrabile, comprensibile a lui e a lui soltanto.
L’ORO DI NAPOLI
Probabilmente il gioiello partenopeo deve migliorare nella finalizzazione e nel gioco di squadra, imparando a gestire meglio alcune situazioni, facendo predominare la ragione e la freddezza all’istinto che lo contraddistingue. Spalletti lo sa e quest’anno, grazie al lavoro svolto insieme, si sono visti i primi progressi.
La vera forza del calciatore nigeriano, ciò che ha reso Osimhen il giocatore attualmente più importante e decisivo della Serie A, è la mentalità. Oggi ragiona da leader. In campo lo seguono tutti. I compagni lo ascoltano, lo abbracciano in massa quando segna, il suo atteggiamento è magnetico.
Lui ama Napoli e Napoli ricambia il sentimento. L’azzurro, ormai, scorre nelle sue vene. Se dovesse, si getterebbe tra le fiamme per onorare e difendere la maglia partenopea. Insieme a Di Lorenzo, capitano della squadra, è il perno di un gruppo che ha spiccato il volo, puntando il terzo Scudetto della storia del club.
Nonostante i soli 24 anni, sembra essere molto più maturo. I lunghi stop delle stagioni passate, le attese, il dolore e la paura ne hanno forgiato il carattere. Ora, dopo essersi assicurato l’amore della città di Pulcinella, Victor Osimhen vuole l’Italia.
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Alla Ricerca del Diez
Chi è Olimpiu Morutan, il Brahim Diaz del Pisa

Pubblicato
3 mesi fa:
Gennaio 6, 2023
CHI È OLIMPIU MORUTAN – Trequartista, proveniente dalla Romania, piede mancino, altezza 1.73, talento cristallino e baricentro basso. A queste caratteristiche si potrebbe aggiungere uno spirito da trascinatore e le qualità di uno che può vincere partite da solo. No, non si sta parlando di Gheorge Hagi. Senza voler scomodare il Maradona dei Carpazi, c’è qualcuno che potrebbe ripercorrere le sue tracce: si tratta di Olimpiu Morutan.
Le qualità, però, sono davvero queste e sono le stesse del Regele (in italiano “re”). La strada da percorrere è ancora molto lunga, ma il classe 1999 può essere il degno erede di Hagi in patria. Gică illuminava i campi su cui metteva piede. Pelé l’ha inserito nel FIFA 100, la lista dei 125 giocatori viventi più forti al Mondo, ha vinto sette volte il premio di calciatore rumeno dell’anno ed è stato nominato calciatore rumeno del secolo.
Tanti riconoscimenti, probabilmente irraggiungibili per il trequartista del Pisa, ma i tratti in comune enunciati prima non possono essere dimenticati.
Morutan plays pool 🎱🎯#SerieBKT | @PisaSC pic.twitter.com/Kg3YI4mDez
— Lega B (@Lega_B) November 6, 2022
SORTIT
La parola è presa dal rumeno, ma si capisce benissimo il campo semantico di riferimento. Quel “sort” iniziale è inequivocabile, infatti significa “predestinato, prescelto”. Si potrebbe definire così la carriera di Morutan. Nasce il 25 aprile 1999 a Cluj-Napoca, una città molto variegata e ricca di storia, oltre che essere la capitale non ufficiale della Transilvania. La vivacità della cittadina è presente anche nel mancino del Pisa, che riesce subito a mettersi in mostra per le sue doti con il pallone.
Muove i suoi primi passi nel settore giovanile dell’Universitatea Cluj, squadra con cui esordisce a soli 16 anni in Liga II, il secondo livello del calcio rumeno. Nella stagione successiva, viste le qualità e l’esordio, che facevano di lui un predestinato, perfeziona il suo passaggio al Botosani, nella prima divisione rumena.
Da qui in poi, difficilmente uscirà dal campo e riuscirà, grazie a questa continuità, a mettere in mostra tutto il suo bagaglio tecnico e artistico. Nell’annata 2017/18 riesce anche a incrementare i suoi numeri, trovando 2 gol e fornendo 5 assist per i compagni. Tutto ciò gli permette di attirare le attenzioni di una squadra sempre molto attenta ai giovani: la Steaua Bucarest.
Arrivato nella squadra più importante del paese, riesce a consacrarsi partita dopo partita. Un infortunio al legamento crociato all’inizio della stagione 2019/20 rallenta il suo percorso di crescita, ma sarà l’annata successiva a renderlo il grande talento di cui tutti parlano. Nel 2020/21 realizza 8 gol e fornisce 15 assist in 36 presenze e, oltre all’esordio in Nazionale, mette in bacheca la Coppa di Romania e la Supercoppa.
Da qui, attirerà le attenzioni del Galatasaray. I turchi lo strappano per 5.7 milioni di euro e si lega al club per 5 anni. Ne basterà uno, però, per convincere il Pisa ad acquistarlo.
CHI È OLIMPIU MORUTAN: LEADER DEL PISA
Dopo un breve periodo di adattamento, coinciso con il peggior momento del Pisa in stagione sotto la guida di Maran, Morutan è riuscito a mettere in mostra tutto il suo repertorio. Non è un caso se la squadra toscana non perde dal 10 settembre. Il trequartista rumeno si sta perfettamente adattando agli schemi di Luca D’Angelo e riesce a svariare molto sulla trequarti, lasciando pochi riferimenti ai difensori.
Fino ad ora, in 17 presenze ha trovato 4 gol e 7 assist, numeri molto interessanti. Oltre a questo, però, la sua caratteristica principale sembra essere la leadership: i compagni sanno di potersi affidare a lui nel momento del bisogno. All’esordio nel campionato cadetto, condito da due assist, è seguita una trasformazione su calcio di rigore decisiva per il pareggio con il Como. Non è da tutti presentarsi dal dischetto dopo due partite, ma la conclusione sotto l’incrocio dimostra il perché di questa sicurezza.
Inoltre, il fatto interessante è che sta trovando questa grande continuità di rendimento in Serie B. In un campionato storicamente fisico e ricco di contrasti duri, Morutan sta riuscendo a prendersi la scena grazie al suo baricentro basso che gli permette di prendere colpi ma di restare comunque in piedi. La sua tecnica cristallina, abbinata a questa qualità, gli consentono di non perdere quasi mai il controllo del pallone.
POTM BATINI NOVEMBRE 🏆
Olimpiu Moruțan il più votato 🖤💙https://t.co/p0jg5CNUX4 pic.twitter.com/aBIq1uQxpp
— Pisa Sporting Club (@PisaSC) December 22, 2022
MORUTAN VISTO DAL VIVO
Quando Morutan è in campo, ci mette davvero poco per farsi riconoscere. Innanzitutto perché, in un calcio che sta diventando sempre più fisico, resta uno dei pochi a non raggiungere nemmeno il metro e settantacinque. Soprattutto, però, perché in Serie B ci sono davvero pochi calciatori con la sua abilità tecnica e la sua capacità di muoversi nello stretto.
Queste due abilità disorientano i difensori avversari, costretti spesso a spendere il giallo per fermare le sue accelerazioni. Nel match tra SPAL e Pisa è caduto nella sua trappola Biagio Meccariello, che non ha resistito alla tentazione di rifilargli un calcione, prendendosi l’ammonizione.
Durante la stessa partita, Morutan è stato il faro della sua squadra nel momento di difficoltà. La difesa degli estensi riusciva a respingere bene gli attacchi provenienti dall’alto, con i palloni lanciati sulla testa di Torregrossa prima e di Gliozzi poi. Morutan, invece, si intrufolava tra le linee e riusciva spesso a ricevere la palla già girato verso la porta. In questo modo, riusciva senza problemi a puntare i difensori e a superarli, per poi creare diversi pericoli.
Per caratteristiche fisiche, tecniche e atletiche ricorda molto Brahim Diaz del Milan. Mancino con baricentro basso e grande qualità, in grado di scompaginare con un dribbling le difese avversarie. Per questo, bisogna aspettarsi molto da Olimpiu Morutan, il “sortit”.
Alla Ricerca del Diez
Mario Kempes, l’eroico Diez di Argentina ’78

Pubblicato
5 mesi fa:
Novembre 8, 2022
Il Numero Diez è il simbolo di tutti quei giocatori che, grazie alle loro magie e ai loro numeri irripetibili, hanno fatto innamorare milioni e milioni di tifosi sparsi per tutto il mondo. Non è da tutti scegliere questo numero, la pressione e il peso che porta è notevole, in quanto chi lo indossa decide di prendersi la responsabilità di guidare il proprio reparto offensivo. Il Sud America, in particolare Argentina e Brasile, è fertile terra per la nascita di questi talenti unici. Per la Seleção sovvengono i vari Pelè, Rivellino, Zico, Rivaldo, Ronaldinho, Neymar e molti altri; invece l’Albiceleste vanta, su tutti, Maradona e Messi. Questi due giganti inarrivabili, però, mettono spesso in ombra altri Diez argentini, come Mario Alberto Kempes, l’uomo della prima storica vittoria argentina di un Mondiale.
LA GIOVENTÙ
Kempes nasce il 15 luglio 1954 da una famiglia di umili origini a Bell Ville, città a 500 km da Buenos Aires, situata nella provincia di Cordoba. Il padre oltre che a svolgere il mestiere del carpentiere, fu anche un calciatore dilettantistico e, affascinato e colpito da ciò, il giovane Mario, all’età di 9 anni, iniziò a muovere i primi passi nel mondo del pallone. Il suo talento, nettamente superiore a quello degli altri ragazzini, è presto notato e, già a 13 anni, veste il rossoblù della più prestigiosa squadra locale, il Talleres de Bell Ville. Nel 1972 cambia casacca e si trasferisce all’Instituto di Cordoba. La cessione avvenne con un curioso retroscena, ovvero una scommessa tra i presidenti delle due squadre coinvolte, Tossolini del Talleres e il biancorosso Petraglia. Il primo, sicuro delle abilità del suo giovane talento, affermò: “Se alla prima amichevole non segna entro 15 minuti te lo cedo gratis, se invece segna entro i 15 minuti fissiamo un prezzo per il ragazzo”. Finale della storia? Kempes segnerà il primo dei suoi quattro gol in quella partita al 14’ e sarà ceduto per 3 milioni di pesos.
IN RAMPA DI LANCIO
Il palco offerto dall’Instituto, ormai, era troppo piccolo per Kempes, che stava diventando un importante attore della scena sudamericana e che, ben presto, avrebbe varcato le più importanti scene mondiali. Infatti, il soggiorno a Cordoba durò solo un anno e, finita la stagione 1972-1973, si trasferì al Rosario Central. Cambia la maglia, ma non cambia la sostanza. L’esordio arriva il 22 febbraio 1974 contro il Gimnasia la Plata e, in quella stagione, segna 25 volte nel Campionato Nacional, laureandosi capocannoniere della competizione. Kempes, con la sua velocità prorompente e il tiro devastante, incanta tutta l’Argentina, tanto da guadagnarsi il soprannome di El Matador. Nessuno non può non notare e restare indifferente di fronte alle sue prodezze, ha convinto tutti anche il CT Vladislao Cap, che decide di convocarlo per il Mondiale di quell’anno tenutosi in Germania Ovest. Il popolo argentino nutriva le migliori aspettative ed più che mai era colto da un gioioso fremito, dato che la propria nazionale non si qualificò all’edizione di Messico ‘70, non essendo andata oltre il pareggio contro il Perù di Cubillas.
Il girone 4 era formato da Argentina, Polonia, Italia e Haiti. L’inizio non è assolutamente dei migliori, infatti dopo appena 9 minuti gli europei conducono per 2 a 0. Invano l’Argentina tenterà di riaprire il match per 2 volte, di cui una grazie a un assist di Kempes in favore di Heredia. Il cammino dell’Albiceleste prosegue con un pareggio contro l’Italia per 1 a 1 e una schiacciante vittoria per 4 a 1 ai danni di Haiti, che consentono ai sudamericani di passare il girone come seconda. I pessimi presagi iniziali furono confermati dalla fase successiva, nella quale la squadra di Cap venne surclassata dalle rivali, ovvero Paesi Bassi, Brasile e Germania Ovest. Johan Cruijff e compagni impartirono una lezione di calcio; infatti, la partita terminò con un sonoro 4 a 0, dove i sudamericani, a stento, tirarono una sola volta verso la porta avversaria.
Le due partite seguenti mostrarono nuovamente l’assenza di gioco da parte dell’Argentina, che, però, riuscì almeno a totalizzare un risultato utile, ovvero il pareggio contro i tedeschi grazie alla magistrale prestazione del portiere Fillol e al gol di Houseman, nato da uno spunto di Kempes. Terminata l’infelice spedizione, furono apportati dei cambi, su tutti l’esonero del CT, ritenuto come il maggior colpevole della disfatta in Germania. Una volta tornato in patria, però, nella mente del Matador non balenava minimamente l’idea di abbattersi e continuò a trascinare il Rosario Central a suon di gol.
VALENCIA
Le prestazioni, i gol e il titolo di capocannoniere del Campionato Metropolitano del 1976 sono davanti agli occhi e sulla bocca di tutti. Chiunque veda giocare Kempes si innamora delle sue qualità e ne rimane stupito, in particolare a provare ciò è la leggenda Alfredo Di Stéfano, all’epoca allenatore del Valencia. Così, dopo 100 partite e 89 reti messe a segno per le Canallas (“canaglie”), vola in Europa, alla corte della storica leggenda del Real Madrid. Se il primo anno è più di ambientamento al calcio spagnolo, i seguenti sono il simbolo della definitiva consacrazione, Kempes, infatti, è il Pichichi (capocannoniere della Liga) del ‘77 e del ‘78. Nel 1979 trionfa in Coppa di Spagna e nel 1980 può finalmente vincere qualcosa a livello europeo con i Murcielagos (pipistrelli), ovvero la Coppa delle Coppe. La finale contro l’Arsenal si disputò a Bruxelles e terminò solo ai calci di rigore, scaturito da un punteggio rimasto fisso sullo 0 a 0 fino al 120’. Ad aprire la serie fu proprio Kempes, che, presa la solita rincorsa fino fuori dall’area, calciò con forza il pallone. Questa volta, però, il mancino non fu letale, infatti la traiettoria fu pressoché centrale e venne intercettata dal portiere dei Gunners, Patrick Jennings. Il Valencia, nonostante ciò, vinse l’incontro, grazie alle parate di Carlos Santiago Pereira su Brady e Rix. Questa vittoria comportò anche la possibilità di giocarsi un altro trofeo intercontinentale, ovvero la Supercoppa Europea. Gli spagnoli affrontarono nuovamente una squadra inglese, il Nottingham Forrest di Clough, e, come accaduto qualche mese prima, alzarono la coppa al cielo.
SULLA VETTA DEL MONDO
Le prime due stagioni in Spagna diedero occasione a Kempes di apprendere nuove tecniche e schemi, che gli servirono per migliorare fino a diventare un vero e proprio cecchino letale, come oggi è noto a noi tutti. Nonostante ciò, il palmarès era piuttosto scarno, in quanto aveva vinto diversi riconoscimenti individuali, ma neanche un trofeo. Nel 1978, però, l’occasione si presentò alla porta ed era troppo ghiotta per non essere sfruttata. In quell’anno, infatti, i Mondiali si sarebbero tenuti in Argentina. Con l’esonero di Cap nel ‘74, il ruolo di commissario tecnico fu affidato a César Luis Menotti, che rivoluzionò lo stile di gioco e spinse Kempes ad accettare il peso che tutti i bambini sognano: la maglia numero 10. Era iniziata una nuova era. I presupposti per fare bene e per arrivare in fondo alla competizione c’erano e, inoltre, l’Albiceleste non poteva permettersi di deludere nuovamente i tifosi, era in debito dopo l’esclusione di 8 anni prima e la pessima figura fatta in Germania. La strada non era in discesa, tutt’altro, infatti i padroni di casa furono sorteggiati nel girone con Ungheria, Francia e Italia.
In queste prime tre partite Kempes non lascia il segno come previsto, le discrete prestazioni, complici anche le avversarie, non gli permettono di esprimere quanto gli era nelle corde. Dopo le prime due vittorie, entrambe per 2 a 1, contro Ungheria e Francia, a far vacillare le sicurezze degli argentini furono gli Azzurri, che trionfarono grazie alla rete di Bettega. Con 4 punti totalizzati, l’Argentina passò come seconda e fu sorteggiata nel secondo girone con Polonia, Brasile e Perù. Ora le cose erano serie, era giunta la fase finale, le ultime tre partite che avrebbero deciso chi si sarebbe giocato la partita valida per l’assegnazione del trofeo tanto bramato. La prima partita era contro l’unica nazionale europea, la Polonia di Boniek e Lato. In questa partita Kempes confermò il motivo del suo soprannome, 2 reti segnate, la prima al 16’ e la seconda al 72’; decisivo anche il rigore parato a Denya da parte di Fillol. I fantasmi del passato, della sconfitta per 3 a 2 della passata edizione erano scacciati e ora l’Albiceleste era pronta ad affrontare i rivali di sempre i Verdeoro, che avevano già vinto la competizione per 3 volte. La partita terminò a reti bianche, il passaggio del turno era ancora conteso tra tre nazioni, Argentina, Brasile e Polonia, ma solo una avrebbe potuto avanzare fino alla finale. Le due sudamericane erano entrambe a quota 3 e, nel caso avessero vinto entrambe, il passaggio del turno sarebbe dipeso dagli scontri diretti, invece le Aquile bianche dovevano battere la Seleção e sperare in un miracolo da parte del Perù. La nazionale di Menotti, però, non avvertì alcun tipo di pressione in quella partita, e uscì vittoriosa dal campo con il risultato di 6 a 0, grazie alle doppiette di Kempes e Luque e ai gol di Tarantini e Houseman.
L’ultima squadra da battere per aggiudicarsi il titolo erano i Paesi Bassi. Gli Oranje che nell’ultima edizione avevano annichilito la nazionale argentina, rifilandole un sonoro 4 a 0. Il Monumental, con spalti gremiti di tifosi muniti di striscioni, bandiere e coriandoli, è la cornice designata a offrire un match che farà la storia del calcio. Verso la fine del primo tempo, Kempes mette a segno la sua quinta rete nel torneo, in seguito a una veloce incursione nell’area di rigore avversaria. Nel secondo tempo la partita va verso un’unica direzione, l’Olanda domina in lungo e in largo, tantoché trova la via del gol grazie al colpo di testa del subentrato Dick Nanninga all’81’ e, 9 minuti più tardi, colpisce il palo, sfiorando una clamorosa vittoria in extremis. I supplementari decideranno chi, per la prima volta nella sua storia, sarà campione del mondo. Nei supplementari non succede nulla di eclatante, fino al 105’, quando una mischia favorisce Kempes che scaraventa il pallone in fondo alla rete. Gli argentini archiviano definitivamente la pratica al 115’, grazie alla rete di Bertoni, servito dal Diez. Il capitano Daniel Passarella può alzare la coppa al cielo davanti ai suoi connazionali, che non possono più contenere la gioia e, in un clima patriottico, abbandonano i pensieri legati alle sofferenze patite per festeggiare.
GLI ULTIMI ANNI
Nel 1981, lascia la Spagna e torna in Argentina, al River Plate, dove giocherà nello stadio che 3 anni prima gli ha regalato il trofeo più importante. Coi Millonarios vince il Campionato Nacional, interrompendo l’egemonia del Boca Juniors di Maradona. Terminata la stagione in Argentina, gli infortuni iniziano a colpire ripetutamente Kempes, che, di conseguenza, non riesce a essere incisivo come un tempo. A causa dei problemi finanziari del club argentino, torna in Spagna per 4 anni, 2 anni al Valencia, diventata squadra da metà classifica, e gli altri 2 all’Hércules, neopromossa in Liga. Partecipa, senza particolari alti, anche a Spagna ‘82, con la maglia numero 11, in quanto, di sua volontà, aveva consegnato la Diez a Diego Armando Maradona. In seguito alla retrocessione dell’Hércules, milita in diversi club austriaci: il First Vienna, il St. Pölten e, infine, il Kremser. Dice addio al calcio 3 volte. La prima nel 1993 con un’amichevole tra Valencia e PSV e nel ‘95 gioca, sempre un’amichevole, tra Rosario Central e Newell’s Old Boys. Il ritiro definitivo avviene l’anno seguente, nel 1996, a 42 anni, quando ricopriva il ruolo di allenatore-giocatore per il Pelita Jaya, in Indonesia. Appesi gli scarpini al chiodo, intraprende in un primo momento la via dell’allenatore e, in seguito, quella del commentatore sportivo.
Alla Ricerca del Diez
Chi è Zeno Debast, il nuovo talento belga scuola Anderlecht

Pubblicato
6 mesi fa:
Settembre 23, 2022
CHI È ZENO DEBAST, IL NUOVO TALENTO BELGA SCUOLA ANDERLECHT, con già 21 partite con la prima squadra dei biancomalva. Zeno Debast, classe 2003, è nato e cresciuto tra le fila del club dell’omonima città e si è conquistato col tempo il suo spazio. La nazionale del Belgio ha messo nel mirino la manifestazione mondiale in Qatar nel 2022, consapevole che potrebbe essere “l’ultimo ballo” di una generazione di calciatori. Da Lukaku ad Hazard, da De Bruyne a Mertens. Tra queste colonne portanti, sbucano anche alcune nuove leve, che si propongono di ricevere l’eredità di questi campioni.
Zeno Debast potrebbe essere una di queste nuove leve. A soli 18 anni è passato dall’essere una brillante promessa ad una solida certezza del suo club. Sotto la guida di Felice Mazzù, un tecnico che ha dimostrato di saper valorizzare i giovani, può continuare a crescere e migliorare.
Roger Martinez, c.t. dei Diavoli Rossi, ha deciso di dargli fiducia, dopo l’ottimo inizio di stagione. E ieri, nella sfida di Nations League contro il Galles, Debast è sceso in campo dal 1′ nella linea a tre di difesa, completando il terzetto con Alderweireld e Vertonghen. Per lui si è trattato dell’esordio assoluto con la nazionale maggiore.
CONOSCIAMOLO MEGLIO
Zeno Debast è un solido difensore, dal fisico slanciato, rapido e agile, seppur con una muscolarità ancora da sviluppare. Con l’Anderlecht gioca nel ruolo di difensore centrale: più frequentemente braccetto di destra nella linea a tre; anche se a volte come centro-destra in una difesa a quattro. In fase difensiva garantisce buona copertura, ottime abilità in marcatura sull’uomo, garanzie sul gioco aereo ed una presenza fisica importante. Si destreggia anche in fase offensiva, dove sfrutta le sue grandi abilità per via aere, fungendo da minaccia per i portieri avversari.
Tuttavia il suo punto di forza rimane indubbiamente la sua abilità palla al piede. Difensore centrale con indole da regista e tocco educato, è un ottimo fulcro sul quale poggiarsi per imbastire la manovra e possiede grandi abilità di passaggio, sia nel lungo che nel corto. Ambidestro naturale, spesso è lui l’uomo designato ai calci piazzati, quando gioca nell’Anderlecht. Una scelta saggia, se si pensa che sui corner il club rinuncia ad un ottimo colpitore come lui. Talvolta, è stato anche utilizzato come centrocampista difensivo davanti alla difesa, con ruolo di regia.
Deve sicuramente migliorare dal punto di vista delle letture preventive e nella prestanza fisica, che non gli garantisce ancora sicurezze nei duelli spalla contro spalla o nei contrasti fisici. Ma a 18 anni, l’impressione è che sia sulla strada giusta per fare bene.
PROSPETTIVE FUTURE
L’Anderlecht, ma in generale l’intera Jupiler Pro League, è una vera e propria fucina di talenti per i maggiori campionati europei. Tra le fila dei biancomalva sono cresciuti alcuni dei più grandi calciatori belga della storia. E, negli ultimi anni, il club non disdegna neanche le giovani promesse estere, da coccolare e far crescere, arricchendosi. Basti vedere che la squadra di Mazzù in attacco ha due delle maggiori promesse classe 2002: l’italiano Sebastiano Esposito ed il portoghese Fabio Silva.
Zeno Debast potrebbe essere l’ultimo nome sulla lista dei talenti costruiti dall’accademia della squadra belga. Le prospettive, almeno in queste prime uscite in stagione da protagonista, conducono verso quella strada. L’Anderlecht vorrà, comprensibilmente, tenerlo per sè ancora per un po’. Anche perchè finora, Debast ha fatto vedere ottime prospettive e larghi margini di miglioramento, ma niente di concreto. Sembra, dunque, difficile che a fine anno possa arrivare già una sostanziosa offerta da parte di una squadra più quotata.
Tuttavia, se da qui a 18 o 24 mesi Debast dovesse confermare quanto di buono promette, trattenerlo in Belgio sarebbe difficile. Sia perchè, come detto, spesso il campionato belga funge da rampa di lancio per i giovani talenti. Sia perchè, probabilmente, sarebbe lo stesso Anderlecht a lasciarlo andar via, seppur a malincuore, incassando una lauta cifra, da reinvestire.
La duttilità tattica di Debast lo pone come un ottimo profilo per una squadra che propone un calcio cosciente e ragionato. Nei cui schemi tattici, il classe 2003 possa essere un protagonista di primo livello.
Alla Ricerca del Diez
El ultimo Diez dell’Uruguay: chi è Forlan?
Pubblicato
7 mesi fa:
Settembre 14, 2022Di
Perseo Gatti
Se si gira per le strade di Montevideo e si cita il nome di Diego Forlan è impossibile che non venga in mente quell’Uruguay che, nel 2010, è andato vicino a vincere il Mondiale. L’ultimo numero dieci uruguaiano degno di nota, uno di quei giocatori che con il pallone poteva fare di tutto, soprattutto le magie. A testimoniarlo sono le giocate, le vittorie, i gol che, soprattutto con l’Atletico Madrid, hanno fatto esultare migliaia di tifosi. La Cachavacha, soprannome dato a lui data la somiglianza con la celebre strega dei cartoni animati del suo paese, oltre ad essere stato un grande giocatore è anche una persona di tutto rispetto. Forlan è membro fondatore della Fundación Alejandra Forlán, la quale è guidata da sua sorella minore, dove si esprime sui pericoli della guida pericolosa.
FORLAN, IL SUPEREROE DELL’URUGUAY
Diego Forlan Corazzo nasce a Montevideo, capitale dell’Uruguay, il 19 maggio 1979. El Rubio è figlio e nipote d’arte. Il padre era un terzino del Peñarol e poi del San Paolo, mentre il nonno era una colonna dell’Independiente negli anni trenta.
Diego prima di avvicinarsi al pallone si diletta con il tennis. In questo sport, a differenza del calcio dove il suo piede forte era il destro, era mancino. All’età di dieci anni si avvicina al futbol giocando prima nelle giovanili del Danubio e poi in quelle del Penarol.
Dopo non aver superato qualche provino in Europa il giovane fantasista uruguaiano firma con l’Independiente di Avellaneda. Con i Diablos Rojos si farà notare a livello internazionale. Con quest’ultimi, in 80 partite, segnerà 37 gol.
ALLA SCOPERTA DEL VECCHIO MONDO
Nell’inverno 2002 Forlan vola in Europa dato che venne acquistato dal Manchester United di Sir Alex Ferguson. Con la maglia dei Red Devils, data la presenza di altri campioni, l’uruguaiano fa molta fatica. Con quest’ultimi, in 97 partite, colleziona 17 gol e 9 assist. Dato l’arrivo di Wayne Rooney in squadra, nel settembre 2004, viene venduto dato che non avrebbe avuto tanto spazio in rosa.
Viene ceduto al Villareal e con quest’ultimi regala tante magie e prestazioni degne di nota che fannoo entusiasmare i tifosi del Submarino Amarillo. Con loro raggiunge diversi traguardi societari ed individuali. Nella stagione 2004-2005 la squadra con sede nella provincia di Castellón conclude il campionato con il terzo posto, qualificandosi in Champions League per la prima volta nella storia del club. In questa stagione, l’attaccante dell’Uruguay, Forlan, vinse il trofeo Pichichi con 25 reti in 36 giornate. Inoltre vinse la Scarpa d’oro assieme a Thierry Henry. Nel 2005-2006 il Sottomarino Giallo raggiunge, in Champions, le semifinali (dove vengono eliminati dall’Arsenal).
Nel calciomercato estivo del 2007 viene ceduto all’Atletico Madrid per circa 21 milioni di euro. Assieme all’argentino Sergio Aguero, Diego, forma uno dei due offensivi più pericolosi ed emozionanti d’Europa. Nella stagione 2008-2009, Forlan, “el ultimo diez del Uruguay“, vince il premio Pichichi, con 32 reti in 33 partite. Inoltre vinse, per la seconda volta, la Scarpa d’oro. Nella stagione successiva, non iniziata benissimo dai Colchoneros, Forlan è uno degli uomini chiave che porterà, a fine stagione, alla vittoria dell’Europa League dell’Atleti.
Nell’agosto 2011 viene acquistato dall’Inter per sopperire alla partenza di Samuel Eto’o. Con la maglia dei nerazzurri, per colpa anche dei diversi infortuni che lo hanno tenuto fuori, non riesce a convincere. In 20 partite colleziona solo 2 gol e 3 assist, troppo poco per un giocatore del suo calibro. Conclusa la stagione, all’apertura del mercato, rescinde il proprio contratto.
FINE CARRIERA E OGGI
Dopo l’esperienza italiana, si trasferisce ai brasiliani dello Sport Club Internacional. Con quest’ultimi, in 42 partite giocate, segna 13 gol e fornisce 4 assist. Nel gennaio 2014 rescinde dall’accordo con la società.
Dopo essersi svincolato dai brasiliani, si trasferisce alla squadra giapponese Cerezo Osaka. Nel giugno 2015 rescinde il contratto con la società. Con loro segna, in 51 gare, 19 gol ed ha fornito 5 assist per i suoi compagni di squadra.
Il 9 luglio 2015, Forlan, ritorna, finalmente, in Uruguay. In patria veste, dopo 21 anni, la maglia del Peñarol. Con i gialloneri, in 34 partite giocate, colleziona 8 gol e 13 assist
Dopo aver vestite diverse maglie in giro per il mondo, tra cui quella dei Mumbai City e Kitchee, il 7 agosto 2019 annuncia il suo ritiro dal calcio giocato.
Attualmente è un allenatore.
Diego Forlan è stato uno dei calciatori più iconici della sua generazione che, tra club e Uruguay, ha collezionato ben 701 partite. In quest’ultime il fantasista ha regalato giocate, emozioni, gol (259), assist (89) e momenti che hanno fatto entusiasmare tantissime persone. In patria dicono che lui è stato l’ultimo Diez uruguaiano e dato tutto quello che lui ha fatto, difficilmente, nascerà un giocatore come lui.
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